Il dubbio

Marino inetto, ma fatto fuori da dei banditi

Il modo in cui Marino ha usato la carta di credito comunale ha macchiato la sua reputazione ma il metodo con cui è stato cacciato è banditesco

Marino inetto, ma fatto fuori da dei banditi

La divulgazione di conti personali di ristoranti che sarebbero stati pagati con la carta di credito comunale ha macchiato la reputazione di Marino anche come sindaco. Non abito a Roma, e non ci vivrei - troppo caciarona e provinciale - e non sono in grado di giudicarlo come amministratore; passo nella capitale un paio di settimane all'anno. E mi basta. Sono un torinese che vive a Milano e ci si trova bene, perché è la sola città italiana che abbia un respiro europeo come Londra e/o Parigi, dove vivo volentieri almeno sei mesi all'anno. E non cambierei.

Ma, dato per scontato che resta una volgarità usare la carta di credito aziendale per far fronte a spese personali e che di Marino non me ne può personalmente importare di meno, e non lo voglio difendere, la vicenda a me pare a tal punto paradossale da far sorgere il sospetto si tratti di una manovra politica per liberarsi di un amministratore del quale non si sapeva come liberarsi; una vicenda, dunque, trattata con i metodi banditeschi che stanno diventando propri delle nuove generazioni, spregiudicate e ciniche, arrivate in politica con Renzi. Se così fosse, come ha insinuato il Foglio in un articolo su questi «nuovi politici», ci sarebbe di che preoccuparsi, perché la vicenda rivelerebbe che chi detiene il potere utilizza metodi che il fascismo usava volentieri contro i propri avversari e/o contro chi gli era inviso. Insomma, come vado scrivendo da tempo, che piaccia o no, rischiamo di essere alla vigilia dell'instaurazione di un regime privo di un minimo di etica democratica e disposto invece a usare qualsiasi mezzo per mostrare il proprio potere e per colpire i propri avversari, ovvero chi non ne fa parte. Sono metodi sui quali conta chi non ha una cultura politica democratica e, perciò, tanto più preoccupanti in quanto sintomo di un profondo disprezzo per le regole del gioco e per la dignità dei cittadini. In una democrazia matura e stabile è col voto popolare che, eventualmente, ci si libera dei cattivi amministratori; non con le denunce generiche pubblicate da un sistema informativo compiacente. Tra l'altro, la presenza di un sistema informativo che - vuoi per scandalismo, vuoi per servilismo - asseconda tale andazzo è, del resto, un ulteriore sintomo della deriva dispotica.

Nei Paesi di cultura anglosassone, l'uomo politico e/o l'amministratore pubblico sono chiamati civil servant , in quanto si presume siano al servizio della società civile e del cittadino. Da noi, in Italia, sono spesso un potere a sé stante, eredità del fascismo, che del regime dispotico ha conservato le cattive abitudini. Nella mia vita ne ho incontrati parecchi, con i quali ho sempre bisticciato, accanto ai tanti che fanno il loro mestiere con scrupolo e gentilezza. E che ho apprezzato. È inutile, allora, che si giri attorno al problema. Sono venuti al pettine, e non sono stati sciolti con la Resistenza - che li ha addirittura esasperati col conflitto fra chi era democratico e chi voleva instaurare un regime di tipo sovietico -, i nodi ereditati dalla mancata chiarificazione fra chi ha combattuto il fascismo da posizioni liberali e democratiche e chi lo ha combattuto per instaurare un altro regime dispotico. Ci siamo salvati col voto del 1948, principalmente delle donne, col quale il fronte popolare socialista e comunista è stato battuto dalla Democrazia cristiana e dai partiti di centro ad essa alleati che poi hanno governato, non sempre bene, per molti anni. Ci è andata decentemente sotto il profilo elettorale e politico, ma non ne siamo usciti culturalmente. Restiamo un Paese a forte vocazione autoritaria nel quale chiunque occupi una funzione pubblica si sente in diritto di approfittarne per prevaricare il suo prossimo. Non siamo ancora - a settant'anni dalla caduta del fascismo - una democrazia stabile e matura. Al contrario, siamo un regime infarcito di leggi e leggine il cui solo scopo è quello di ricordare al cittadino che, di fronte allo Stato e a chi lo rappresenta, è un suddito e come tale è trattato.

Ho conosciuto molti ufficiali pubblici che fanno il loro mestiere con competenza e con rispetto verso chi gli si rivolge, mentre altri li considerano e li trattano come sudditi. La vera riforma legislativa e amministrativa di cui si avverte il bisogno sarebbe quella in grado di liberare il Paese da tale zavorra.

piero.

ostellino@ilgornale.it

Commenti