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Duterte ancora contro i narcos: in galera anche bimbi di 9 anni

Duterte ancora contro i narcos: in galera anche bimbi di 9 anni

I bambini sotto i dieci anni di età vengono arruolati dai narcotrafficanti? Nessun problema: abbassiamo a nove anni l'età minima per rispondere dei propri atti penalmente rilevanti e ripuliamo le strade mettendoli tutti in galera.

Il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte (sì, quello che diede pubblicamente del «figlio di puttana» all'allora collega americano Barack Obama) ha abituato i suoi connazionali e il resto del mondo alle sue iniziative più che drastiche. La sua battaglia contro il traffico di droga viene condotta da squadroni della morte che sono autorizzati dalla massima autorità politica del Paese a sparar loro addosso a vista. A oggi si stima che le vittime della guerra dichiarata da Duterte ai narcos siano circa seimila.

La prospettiva che bambini di nove anni finiscano al carcere minorile appare obiettivamente agghiacciante. Non ci vuol molto a capire che a quell'età è impossibile comprendere appieno il significato di un reato anche molto grave, che oltre tutto viene commesso su ordine di un adulto al quale pare difficile che ci si possa sottrarre. Senza dimenticare le drammatiche ricadute sulla società filippina che avrebbero simili misure: i piccoli «criminali» verrebbero messi a contatto con quelli adulti e quindi istradati con quasi assoluta certezza su una strada senza ritorno verso l'illegalità come professione.

Attualmente, la legge filippina indica in 15 anni il limite minimo di età per la responsabilità penale. Nelle carceri del Paese asiatico sono rinchiusi circa 52mila minorenni.

Le Nazioni Unite hanno subito protestato contro la proposta avanzata da Duterte, definendola «sbagliata sotto ogni punto di vista». L'organizzazione internazionale sostiene che al carcere siano preferibili i programmi di rieducazione e reinserimento sociale, «efficaci nel 70 per cento dei casi».

Ma non sembra probabile che il pirotecnico presidente filippino sia disposto a dare ascolto all'Onu: una delle sue «sparate» più rumorose ha infatti riguardato proprio la minaccia di uscirne, ovviamente sbattendo la porta.

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