Guerra in Ucraina

"Ecco perché Putin vuole i test atomici"

Il generale: "Mosca ha l'esigenza di evitare malfunzionamenti. E così spaventa il mondo"

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Il presidente russo Vladimir Putin ha firmato ieri la legge che revoca la ratifica del Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari (Ctbt). Il Trattato è stato adottato dall'Assemblea generale dell'Onu nel 1996, ma non è mai entrato in vigore anche perché mai ratificato da Cina e Stati Uniti. Mosca aveva aderito nel 2000, sei mesi dopo che Putin era diventato presidente.

Generale Tricarico, ex Capo di stato maggiore dell'Aeronautica Militare, siamo di fronte a un'escalation, una minaccia, un tentativo di deterrenza?

«Direi un tentativo di deterrenza. Nella pratica niente di preoccupante, nel senso che se il rispetto dei trattati è quello che abbiamo visto negli ultimi tempi...».

Nessuno rispetta gli accordi internazionali?

«Il confronto militare cui stiamo assistendo è segnato da una costante: il venir meno di ogni regola, di ogni impegno internazionale. Se guardiamo al conflitto Russia-Ucraina non basterebbe un libro per raccontare le regole disattese, a cominciare da quelle della Nato».

Il Patto Atlantico è stato tradito?

«L'Alleanza si basa sull'articolo 1. I Paesi membri si impegnano a risolvere ogni controversia in via pacifica. Me ne citi uno che ha interpretato questo patto fondante. D'altra parte uno dei primi accordi diventato carta straccia è il memorandum di Budapest del 1994. L'Ucraina consegnò alla Russia tutte le sue armi nucleari oltre mille sistemi - in cambio della promessa di protezione della propria sicurezza da parte di Mosca. La Russia, anziché proteggerla, l'ha invasa».

La decisione di Mosca di chiudere col Trattato potrebbe dipendere dall'esigenza di testare le proprie armi?

«L'esercitazione sull'uso dell'armamento nucleare è una costante, anche di chi non ce l'ha. Ha carattere soprattutto procedurale, perché non ci siano dimenticanze, malfunzionamenti, perché venga rispettata la catena di comando. Il fatto di ostentare questa attività è semmai significativo».

Una minaccia?

«Chi lo fa, evoca la possibilità che venga utilizzato. È come brandire un randello, come dire: sono armato e lo posso usare anziché tenerlo dietro la schiena».

Il trattato non è mai entrato in vigore anche perché Usa e Cina non lo hanno ratificato. C'è una responsabilità delle altre grandi potenze?

«Non darei a questi comportamenti un significato conseguente. Non denunciano la volontà di usare l'armamento nucleare, rientrano in un quadro di deterrenza, più che di volontà».

La Russia possiede oltre 6mila testate nucleari, più di ogni altro Paese al mondo. Quanto conta?

«La quantità non conta. Anche gli Usa hanno aggiornato l'arsenale, con una bomba B61-13 ancora più potente. Mi sfugge solo il motivo per cui oggi ci sia ancora bisogno di sviluppare nuovi armamenti nucleari, aggiornarli o aumentarli, quando uno da solo basterebbe a mettere a ferro e fuoco questo mondo e un arsenale a distruggerlo».

Ora anche la guerra in Israele sta esacerbando le contrapposizioni internazionali...

«Ma il black-out mediatico sul conflitto in Ucraina, la distrazione dell'opinione pubblica specie nei Paesi che si apprestano ad andare alle urne, può aiutare la soluzione negoziale. Quanto a Israele, non smette di stupirmi la superficialità e dilettantismo con cui si parla di eventuali crimini di guerra, anche da parte di illustri esponenti politici e istituzionali. Chi ha violato le norme in maniera incontrovertibile è Hamas».

L'Italia che ruolo può giocare in queste turbolenze internazionali? Siamo vasi di coccio?

«Né di coccio, né di ferro. Siamo la voce di un coro, che dovrebbe essere intonata e ogni tanto esibirsi in qualche assolo nell'area mediterranea, nord africana ed europea.

Lì possiamo esprimerci e mi pare che il nostro Paese abbia impostato una politica estera seria, concreta e non supina».

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