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Erdogan fa la voce grossa ma rischia l'auto-isolamento

Il presidente alza i toni ed entra così in rotta con troppi Paesi. Sono ormai 7 le sedi diplomatiche di Ankara scoperte o vacanti

Erdogan fa la voce grossa ma rischia l'auto-isolamento

«Mi auguro che la battaglia di Canakkale sia un esempio per il mondo e lo porti a trasformare la sofferenza comune in uno strumento di pace e amicizia». È un Erdogan insolitamente mansueto quello che ieri ha accolto 21 capi di Stato e di governo giunti a Gallipoli, nella Turchia europea, per celebrare il centenario della battaglia dei Dardanelli, passaggio cruciale della Grande Guerra. Il tono conciliatorio del presidente turco non deve ingannare: solo due giorni prima il governo di Ankara guidato dal fedelissimo Ahmet Davutoglu aveva richiamato in patria «per consultazioni» l'ambasciatore accreditato a Vienna. Un gesto eclatante teso a sottolineare l'opposizione più intransigente della Turchia a ogni riconoscimento dello sterminio degli armeni come «genocidio»: così lo ha definito il Parlamento austriaco osservando anche un minuto di silenzio in memoria delle vittime. Meno di due settimane fa il governo turco aveva richiamato anche il proprio ambasciatore presso la Santa Sede in segno di aperto dissenso da Papa Francesco secondo cui quello degli armeni fu il primo genocidio del secolo. Le sue parole sono state definite dal governo turco «una terribile calunnia».

La durezza nei rapporti fra Stati amici è diventata la regola da quando Erdogan è al potere. Nel 2010, allora era primo ministro, Erdogan ritirò l'ambasciatore da Israele, degradando le relazioni con lo Stato ebraico a livello di secondo segretario dopo l'assalto delle Forze armate israeliane alla nave turca Mavi Marmara che cercava di forzare il blocco navale di Gaza. Due anni dopo Ankara richiamava il proprio inviato a Damasco, disconoscendo ogni legittimità al presidente siriano Bashar Assad. L'anno dopo è stato il governo egiziano del presidente-generale Al-Sisi a espellere l'ambasciatore turco: il Cairo non tollerava l'appoggio di Ankara ai Fratelli Musulmani. Più recente il ritiro dell'inviato turco dallo Yemen, mentre le relazioni con la Libia post-Gheddafi sono al palo dal 2014.

Sono dunque sette le cancellerie turche scoperte o vacanti: tante per qualsiasi governo, troppe per un Paese il cui premier, già ministro degli Esteri, è l'inventore della formula «nessun problema con i vicini». Al contrario i problemi ci sono e soprattutto con i vicini, a inclusione della piccola Austria con i suoi 110 mila immigrati turchi e 200mila cittadini di origine turca. Certo è più facile fare la voce grossa con Vienna che con Berlino, dove pure il Bundestag ha commemorato lo sterminio degli armeni chiamandolo «genocidio». La decisione di ritirare gli ambasciatori rischia però di precipitare Ankara nell'auto-isolamento. Anche perché, come faceva notare un politico della sinistra tedesca, se tutta l'Europa riconosce quello armeno come un genocidio «Erdogan che fa? Ritira tutti gli ambasciatori?». I presidenti russo e francese hanno boicottato la cerimonia di Gallipoli per volare invece a Erevan, ospiti delle autorità armene. Ingoiato il rospo, non risulta al momento che la Turchia abbia richiamato i propri inviati a Parigi e a Mosca.

Al contrario Erdogan ha parlato «di pace e amicizia».

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