Guerra in Ucraina

Gli ex scissionisti del Pd tornati nel partito lo rispaccano sulla Nato

L'ala bersaniana prova lo strappo anti-Kiev. Dem preoccupati: temono l'asse con Conte

Gli ex scissionisti del Pd tornati nel partito lo rispaccano sulla Nato

Il giorno dopo lo strappo anti-Ucraina di un pezzo del gruppo parlamentare (alcuni di Articolo 1, Laura Boldrini, il devoto di Sant'Egidio Paolo Ciani), il malessere nel Pd è palpabile.

Molti si affannano a dire che si tratta di pochi casi individuali, ma il segnale politico è chiaro: su un tema epocale e dirimente come la collocazione internazionale e il supporto a Kiev e al fronte delle democrazie occidentali, la sinistra è profondamente divisa. E se il Pd tenta di resistere sulla linea euro-atlantica impressa dalla segreteria Letta, le parole d'ordine anti-Nato e filo-russe dei 5 Stelle di Conte fanno breccia nell'ala ex Pci e tra i cattopacifisti. E il voto di martedì sul decreto Ucraina getta una luce inquietante sul ritorno a casa (il «ricongiungimento familiare», come lo definisce Elly Schlein) degli ex scissionisti dalemiani. Tanto che un analista spietato della sinistra, come l'ex direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli, disegna uno scenario assai cupo: la saldatura tra M5s, dalemiani e «rappresentanti di Sant'Egidio» rischia di formare «un nucleo d'acciaio» anti-occidentale che a breve «comanderà su tutta la sinistra italiana».

Che il problema esista lo dimostra anche il fatto che da sinistra si cerchi di buttare acqua sul fuoco. Bersani prova a dare un colpo al cerchio e uno alla botte: certo «la resistenza ucraina non può essere abbandonata», e lui avrebbe anche votato a favore del decreto, ma con una «distinzione tra armi di offesa e di difesa» (solo ombrelli, niente tank?). Il vicesegretario dem Peppe Provenzano dice che «è stato un errore» quello di chi non ha votato il decreto: «Non possiamo avere nessuna equidistanza o tentennamento. Se smette di combattere la Russia finisce la guerra. Se smette di combattere l'Ucraina finisce l'Ucraina». É molto netta la candidata segretaria Paola De Micheli, che ricorda «i nostri nonni partigiani cui arrivavano le armi degli Alleati. Come gli Ucraini, che difendono il loro territorio e l'Europa da uno stato autocratico».

Mentre dal fronte riformista del Pd Enrico Borghi ricorda che i 5Stelle di Conte (insieme a rosso-verdi, Articolo 1 e «pacifisti» sparsi) «ci fanno la morale sul progressismo, ma poi votano contro il sostegno all'Ucraina, esattamente come tutta l'estrema destra europea, da Afd al Rassemblement National». E avverte: «C'è un pezzo della sinistra del nostro paese che non sa assumersi o non vuole assumersi responsabilità di governo. E' una costante che torna e che non può non interrogare il Pd».

Va fatta chiarezza subito, prima che si rischi una nuova esiziale scissione, è il messaggio: «Una valutazione politica è imprescindibile: questo è argomento non aggirabile o mitigabile, che determinerà il decennio: quello del confronto tra democrazia e autoritarismo, e il modo in cui le democrazie si pongono».

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