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False sedie del Settecento. Beffa milionaria a Versailles

Smascherato un giro di antiquari disonesti. Truffato lo Stato francese

False sedie del Settecento. Beffa milionaria a Versailles

Non esattamente bruscolini: uno scandalo che vale 3 milioni di euro quello portato alla luce, a pochi giorni dalla Biennale dell'antiquariato, in Francia, dalle colonne di Libération. Un'inchiesta su grandi falsi, sedie spacciate per originali del 1700 e che, invece, come tali erano solo state truccate, imbellettate, e vendute a una delle più grandi «istituzioni del settore»: la sfavillante Versailles.

Un caso dalle dimensioni colossali, un'inchiesta che dura da mesi, il disvelamento di strategie e metodi di grosse compagnie: il mercato del falso, in tutto il mondo, frutta miliardi di euro ed è la terza fonte di traffico illecito, inferiore solo a quello di droghe e di armi. Ma questa è anche la storia di un allievo che supera il maestro e lo smaschera, il perfetto soggetto di un film. Ci spieghiamo. Partiamo da uno dei protagonisti indiscussi della vicenda. Il presidente del sindacato nazionale degli antiquari Bill Pallott, responsabile del mobilio della galleria Aaron (coinvolta nello scandalo) da più di trent'anni. Libération lo descrive come un erudito ed elegantissimo dandy, un personaggio tarato sul Geoffrey Rush de «La migliore offerta», falsario milionario nel mondo dell'antiquariato europeo. Ma Pallott conosce e utilizza le nuove tecnologie, e pubblica su internet video in cui, in 10 minuti, prova a spiegare le tattiche vincenti per sbugiardare un falso. Secondo questa inchiesta, però, grazie ai suoi metodi, un suo allievo scoprirà proprio in lui, in questa celebrità dell'arte antica, l'impostore.

Si tratta di Charles Hooreman, giovane antiquario specializzato in mobilio del '700 alla Sorbona. È bravo: verifica il numero d'inventario, scruta le etichette, analizza le stampe e tutti quei piccoli trucchi che un falsario annida nei suoi esemplari più appetibili. È il maggio 2012 quando Hooreman incontra Pallott di persona; e gli sottopone un paio di sedie, convinto che si tratti di falsi. Pallott schiva, sembra farsi scivolare addosso la questione. Ma il giovane scopre che questi due pezzi sono stati acquistati da Versailles per numerose centinaia di migliaia di euro. Ed è a questo punto che decide di «rompere il silenzio: perché spiega finché Pallott si limitava a vendere dei falsi non aveva una grossa importanza quanta ne ha invece se c'è di mezzo una istituzione nazionale, che funziona col denaro pubblico». Versailles, appunto.

Ma il racconto del giovane antiquario è fatto di incontri evasivi e di atteggiamenti che puzzano di omertà. In ballo ci sono diversi mobili e articoli visti alla galleria Aaron (quella per la quale lavora Pallott). Il valore dell'acquisto è di 2,7 milioni di euro. Craemer il nome dell'altra galleria nel mirino dell'inchiesta. I custodi, a Versailles, hanno ricevuto l'ordine di non parlare con la stampa. Ma 500mila euro sul conto corrente dell'anziano autista di un importante gallerista di Drouot portano, attraverso il filo tortuoso delle indagini, ai falsi di Pallott. Anche se il suo avvocato sostiene che il celebre dandy dell'antiquariato non ha speculato sui falsi, non ha agito per cupidigia, a differenza di altri protagonisti della vicenda.

C'è però una domanda più impellente, più forte, più giusta. Versailles ha acquistato dei falsi, e la sua commissione ha avallato l'acquisto senza sollevare un sopracciglio: possibile? E perché? Secondo Libération, la risposta è nel contesto legislativo di questi acquisti. Una legge del 2003, infatti, consente alle imprese di dedurre il 90% delle somme investite nei tesori nazionali. E Versailles dispone di fondi infiniti. L'opportunità prima dell'autenticità: è questa la fortissima tentazione.

Soprattutto in tempo di crisi.

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