Il monumento si è tolto il passamontagna. Ed è finito nel variopinto pentolone delle candidature per le Europee. Non proprio un finale travolgente per il Capitano Ultimo che il 15 gennaio 1993 spezzó la latitanza interminabile di Totó Riina. Sergio De Caprio, oggi generale in pensione dell'Arma, non si era più tolto il passamontagna da quel giorno.
Ieri l'inatteso colpo di scena al teatro Quirino di Roma al fianco di Cateno De Luca, il vulcanico sindaco di Taormina, nel corso della presentazione della lista Libertà, un minestrone di soggetti che vanno dal Popolo della Famiglia di Mario Adinolfi a Fronte verde di Vincenzo Galizia.
Ultimo sale sul palco e fra gli applausi scroscianti di un'affollata claque profana l'icona che aveva religiosamente custodito per un trentennio e per la prima volta mostra il suo volto.
Come se, fatte le debite proporzioni, il Subcomandante Marcos avesse mostrato la faccia. «Voglio continuare a servire il popolo come feci da carabiniere», spiega al microfono parlando di «lealtà, coraggio e amore».
Il senso complessivo dell'operazione lo chiarisce, più o meno, De Luca: «A differenza degli altri partiti che si presenteranno alle Europee con liste-maschere, noi daremo pari dignità a tutti gli alleati che hanno deciso di metterci la faccia».
Giù la maschera, dunque.
Siamo, grossomodo, al teatrino della politica. Anche se per Di Caprio c'è il bisogno quasi fisico di stabilire finalmente un contatto con i cittadini che lo voteranno.
E peró rientrare nella propria biografia e sprofondare nell'abbraccio di formazioni, con tutto il rispetto, semisconosciute, non è proprio il massimo. La leggenda si fa prosa, rientra nei ranghi e si consegna al giudizio mutevole degli elettori.
Il nome di Sergio De Caprio, aretino di Montevarchi, classe 1961, è legato a filo doppio alla cattura del capo dei capi, a Palermo, abbattendo con quel colpo di maglio il mito del padrino imprendibile, pienamente operativo e perfettamente mimetizzato nel suo ambiente. È il Ros dei carabinieri a realizzare il colpo, sfruttando le indicazioni di un pentito, Balduccio Di Maggio. Quella cattura, attesa da troppo tempo, segna la fine del boss più sanguinario della storia di Cosa nostra e spinge la mafia, che aveva appena attaccato frontalmente lo Stato, sulla china del declino. Ultimo indaga per mesi sui familiari del boss, li pedina, poi trova finalmente il covo di via Bernini e la mattina del 15 gennaio alle 9 blocca con un collega, nome in codice Vichingo, l'auto appena uscita dal rifugio e arrivata all'altezza del motel Agip.
È il momento del trionfo, ma anche quello in cui cominciano a sprigionarsi i veleni.
La mancata perquisizione del covo di via Bernini innesca accuse quasi incredibili di favoreggiamento: i bersagli sono proprio Ultimo e il colonnello Mario Mori, trascinato poi nel fango di una lunghissima stagione processuale, conclusa con una raffica di assoluzioni.Dopo gli anni trascorsi come vice comandante del Nucleo operativo ecologico dell'Arma, De Caprio si toglie la divisa, ma non la maschera. Quella cade oggi, per scoprire il volto di un Masaniello.
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