Cultura e Spettacoli

A forza di correttezza e "non si può dire" gli intellettuali si tagliano la lingua da soli

Piovene contro la cultura «organica» e rancida, che si indigna per le idee tabù

A forza di correttezza e "non si può dire" gli intellettuali si tagliano la lingua da soli

di Guido Piovene

Si sa che la cultura italiana è quasi interamente all'opposizione. Il potere che vi predomina è dalla parte opposta di quello politico. Una cultura libera è quasi dappertutto in contrasto col potere politico, ma in Italia il contrasto è più grande che dappertutto altrove.

Non è questo che ci dispiace nella nostra cultura. Non troviamo niente da dire sulla nettezza delle sue posizioni politiche, sul suo modo di manifestarle, sulla durezza, rabbia, aggressività che porta dentro (o almeno mostra di portare), sulle idee e sui gusti che impone a una borghesia, specialmente alta borghesia, sbandata ed ansiosa di mimetizzarsi, sulle sevizie che le infligge, prima di tutto quella d'obbligarla all'applauso. C'è però un altro vizio contro cui dovrebbe rivolgersi con la stessa asprezza, e che invece asseconda.

L'Italia, in questo vizio, supera di gran lunga tutti gli altri Paesi nei quali le idee sono legalmente libere. Esso consiste nel pensare che esistano non soltanto idee inopportune, sbagliate e magari cattive, ma anche idee scandalose, che offendono con il loro esistere. Alle idee «scandalose» non si riserva solo la violenza polemica, ma una specie d'intimidazione pratica, la minaccia ricattatoria. Così, la maggior parte dei nostri giornali obbedisce ancora alla legge del «si può dire» e «non si può dire». Il repertorio delle idee è monotono e monco, perché vi sono idee tabù. Troppe cose che non si dicono, o che si dicono per forza, non soltanto per colpa della concentrazione delle testate... Un formulario catechistico insulso, che ha per di più la faccia tosta di gabellarsi come audace, ha irretito i giornali e contiene una risposta a tutto: sui partiti, sui sindacati, sui Paesi stranieri, criminali, polizia, giudici, palestinesi, sesso, modo di condurre le mostre, fino a che punto sia pericoloso il fascismo. Ogni risposta differente da quella catechistica, essendo «scandalosa», produce indignazione, un'arma usata di rado dagli intelligenti ma abitualmente dagli sciocchi. Non «hai sbagliato», bensì «hai osato dirlo», sei colpevole di aver osato. Lo stesso formulario minaccioso e insulso, che soffoca i giornali, soffoca le Università, i discorsi politici, il cinema e i tribunali.

Questo non è solo un discorso contro l'intolleranza, del resto sempre utile. Si vuol notare soprattutto che ne deriva una tremenda povertà culturale. La cultura, che reagisce poco a questo appiattimento anche ai gradi più alti, manca a un suo dovere. Una cultura neutra è malsana e impensabile; quand'essa è sana, si colloca chiaramente da una parte dello scacchiere. Bene che abbia una forte connotazione politica; molto meno bene però se è ideologizzata, cioè chiusa in un busto di ferro, costretta ad essere militante, attivista e dunque, se occorre, bugiarda.

In questo senso la cultura italiana è la più rumorosa, fastidiosa dell'Occidente; è il ragazzotto ubriaco che corre dietro alla politica per rifarle il verso. Invece, la cultura dovrebbe sostenere la propria parte ma anche prenderne distanza. Prima di tutto deve dire che non esistono, mai e in nessun caso, idee scandalose; inoltre, da qualunque parte provenga, dovrebbe essere tutta insieme una «terza forza», una terza forza critica sulla parte avversaria, ma ancora di più sulla propria, a cui dovrebbe stare addosso per evitarle la sclerosi e farle cambiare discorso se un discorso è esaurito. Altrimenti si formano situazioni di vuoto critico (come quella d'oggi in Italia) con l'unico corrispettivo di poter imporre in quel vuoto, a un pubblico disorientato, alcuni valori arbitrari.

Non certo il passato lontano, e non la tradizione, tengono la cultura italiana invischiata. Né è certo questo che vi porta odore di muffa. Vecchio è il passato prossimo che la trattiene. L'operazione giusta è avvenuta in Francia, dove la liquidazione di quel passato prossimo culturale, ad un certo livello, è stata pressoché completa. Uomini come Althusser, Lévy-Strauss, Lacan, Foucault, Barthes eccetera, per dire solo alcuni personalmente situati a sinistra, a parte i loro meriti rispettivi, hanno compiuto sulla cultura una specie di disinfestazione dagli insetti nocivi. Della cultura hanno fatto una «terza forza», divisa dalle ideologie, antidogmatica, incurante di affrontare le conseguenze del rigore scientifico anche se spiacente ai partiti, pronta ad aprire nuovi temi e discorsi e a rompere le trame di quella cosa abbietta che è l'attivismo culturale. Le formule catechistiche sono state così declassate e buttate in pasto alla mezza cultura e alla bassa cultura, le pattumiere dei rifiuti.

Poco di simile è avvenuto in Italia, e non si è esteso né è disceso in profondità. Piuttosto è stato rigettato con acrimonia. Ma ne abbiamo un grande bisogno. Vi sono momenti nei quali la cultura non vale molto se si limita a continuare, e magari perfezionare, un discorso esistente. La sua funzione, in quei momenti, è cambiare discorso. Oggi, in Italia, quasi tutto ciò che leggiamo è noioso, banale, rancido e irritante.

4 agosto 1974

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