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Il fragile paradiso da cartolina dei Caraibi

Uragani, terremoti ed eruzioni vulcaniche devastano le isole del sogno

Il fragile paradiso da cartolina dei Caraibi

La cartolina è lì davanti agli occhi nelle giornate di lavoro che diventano troppo lunghe per essere sopportate. Quel pensiero riposto in un angolo della testa si attiva a fasi alterne: mollo tutto e ciao, vado ai Caraibi. Cuba, Giamaica, Messico: poco importa se in pensione, in una vacanza senza data di scadenza o per cambiar vita e aprire quel benedetto chiringuito sulla spiaggia. È almeno da quando il pirata Morgan è andato in pensione che i Caraibi rappresentano la meta per eccellenza della fuga. Temperature medie di 25 gradi, escursione annuale di tre, massimo cinque gradi: sotto i 20° non si scende. Il Paradiso possibile, sufficientemente vicino da poter tornare ogni tanto a casa; sufficientemente occidentalizzato da essere alla portata anche dei meno avventurosi. Sufficientemente lascivo da svegliare anche i timidoni.

Il numero esatto di isole dei Caraibi non lo sa nessuno. Grandi e piccole Antille occupano un arco lungo quattromila chilometri geograficamente accomunato da tre elementi: spiagge, bianche e fini come borotalco; acqua, in tutte declinazioni dell'azzurro che tendono al turchese; vegetazione, tropicale e lussureggiante. La parte continentale, dal golfo del Messico a Panama, è praticamente identica. La scelta è ampia: può essere la Repubblica Dominicana dei villaggi turistici all inclusive, la Giamaica godereccia di 007 e del reggae, il Messico dei fuggiaschi di Salvatores e di Playa del Carmen, la Cuba dei sigari e delle utopie fallimentari, la Martinica del rhum, la Trinidad del Calypso, le Bermuda del triangolo, o Antigua e Saint Barthelemy, le mete dei nuovi ricchi. Politicamente finita da un pezzo l'epoca delle rivoluzioni di stampo socialista e andata in pensione una decolonizzazione soft, sono tranne Haiti Paesi per lo più tranquilli. Repubbliche da banane, ma stabili; residui di colonie sonnacchiose, che vivono in prevalenza di turismo ed esportano centometristi. Insomma, il luogo ideale dove coltivare il sogno di una vita in cui mettere in soffitta i ritmi casa-scuola-lavoro e abbandonarsi alla dolce indolenza di un tramonto caraibico.

Peccato che con periodica puntualità la cartolina venga strappata con funesta irruenza da quella stessa natura benevola che coccola gli abitanti e invita al trasloco. Perché da giugno a dicembre nell'Atlantico settentrionale è la stagione degli uragani. Possono essere più o meno forti, ma arrivare arrivano, è certo. Prima di Irma, così potente da essersi portato via gli strumenti che dovevano attestare il suo record, c'erano stati Wilma, nel 2005, con venti a 300 chilometri orari che causarono 30 miliardi di dollari di danni e 87 morti; Gilbert, nel 1988, con 318 morti tra Messico e Giamaica; Labor Day, che nel lontano 1935 causò 408 morti alle Florida Keys. E ancora Allen nel 1980 e Camille, nel 1969. Per non parlare dell'uragano San Calixto, che nel 1780 provocò 22mila morti tra Martinica e Barbados. Ogni volta un rosario di acqua, vento, morte e distruzione. Ma se l'uragano salta un turno ecco che arriva il terremoto, perché tutta la zona è altamente sismica, come sanno bene ad Haiti, dove nel 2010 la terra tremò causando 230mila morti. E laddove c'è un sisma nelle vicinanze, di norma, c'è un vulcano. Tutte le piccole Antille ne ospitano uno, da Saint Kitts a Grenada dieci sono ancora attivi. Nel 1902 l'eruzione del La Pelée, in Martinica, causò 30mila morti. Nel 1995 il Soufrière Hills si risvegliò e gli abitanti della colonia inglese di Montserrat furono costretti ad abbandonare l'isola. Due terzi dei 15mila abitanti non sono mai potuti tornare.

Così i periodici cicloni tropicali, che diventano tempeste e crescono fino a diventare uragani e in pochi casi Irma è uno di questi diventano uragani maggiori, sembrano quasi il male minore. Perché il terremoto non lo puoi predire, arriva; il vulcano quando scoppia, scoppia; ma l'uragano è abitudinario. Almeno a dar retta agli esperti del National Hurricane Center statunitense, secondo cui il picco degli uragani caraibici si verifica intorno al 10 settembre. Dunque, se pensate di trasferirvi nei Caraibi per quel famoso chiringuito, a settembre, prendetevi una vacanza.

Il Mediterraneo è ancora caldo, il Paradiso può attendere.

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