Controcorrente

Il futuro dei talk show: "Meno genuflessioni ai politici di turno E basta col buonismo"

I quattro conduttori sul palco di Controcorrente alla festa del Giornale. Porro: "Non funziona più Renzi che parla da solo in tv". Oggi dibattito finale

Il futuro dei talk show: "Meno genuflessioni ai politici di turno E basta col buonismo"

nostro inviato a Marina di Pietrasanta (Lu)

Giornalismo, media, politica. La nuova, ma consolidata generazione dei conduttori televisivi sale sul palco di Controcorrente per confrontarsi a mente aperta su come conquistare la fiducia della gente e relazionarsi con i politici, senza genuflessioni verso il potere, dribblando, se possibile, conformismi ed eccessi pedagogici. Il risultato è un caleidoscopio di opinioni che produce una contrapposizione forte e scoppiettante tra il conduttore di Piazzapulita Corrado Formigli, quello di Matrix Luca Telese, quello di Virus Nicola Porro e quello de La Zanzara Giuseppe Cruciani che non se le mandano a dire, senza però rinunciare all'ironia. Su un punto, però, i quattro trovano un terreno comune: la necessità di rompere il cerchio delle richieste improprie avanzate dai politici, sempre inclini a richiedere scalette, domande e ospiti «apparecchiati».

«Il conformismo è sempre dietro l'angolo» spiega Formigli. «Ce n'è tanto verso Renzi e oggi rischiamo di essere addomesticati dal “renzismo” e dal “sensismo”, con riferimento al suo bravissimo portavoce. Le regole sono che chi viene deve essere messo di fronte alla realtà. Anche con i grillini da questo punto di vista abbiamo mancato. Purtroppo oggi anche le seconde e le terze file della politica fanno richieste improprie. Il problema è che considerano la politica il loro cortile di casa». Nicola Porro rincara la dose: «Sono stati viziati, abituati a farsi lisciare il pelo, anche perché tutto andava bene purché attaccassero Berlusconi. Io non ho dimenticato quando andavo ospite da Santoro ed ero solo contro tutti, con il pubblico che manifestava disprezzo perché io per loro ero antropologicamente inaccettabile, puzzavo di berlusconismo».

Inevitabile ragionare sul modo in cui i talk-show si relazionano con la nuova stagione renziana. «Renzi è andato ovunque a Mediaset tranne che da Telese perché si è legato al dito una domanda sui finanziamenti delle primarie» racconta Cruciani. «Oggi il modo in cui tengono i rapporti con Renzi i giornalisti italiani, con sei-sette eletti a cui invia sms, non lo trovo corretto. È un rapporto bambinesco. Non è all'altezza del ruolo».

In ogni caso, racconta Porro, «Renzi non fa più il pieno di ascolti come un tempo perché non funziona più la modalità del premier che parla da solo, magnifica il suo lavoro ed enuncia i suoi slogan. Non funziona con lui, come non funzionava con Berlusconi». Inoltre «prima la forza di Renzi era che non andava a Cernobbio, ma nelle fabbriche di rubinetti. Ora ha invertito l'ordine delle scelte». «Così almeno abbiamo chiuso la stagione modello Corea del Nord delle visite nelle scuole elementari con i cori festosi dei bambini» scherza Telese. Formigli aggiunge un elemento ulteriore: «Renzi non è mai pronto ad andare dove c'è sofferenza, va a New York perché vince sicuro. Va solo nelle situazioni sicure e non rischia più niente. Premesso che tutto è populismo, sia andare sotto il fango sia andare a Flushing Meadows, meglio che vada dove c'è il fango».

Nel giudizio sulla capacità di affrontare a viso aperto i dibattiti televisivi anche più duri, Matteo Salvini strappa consensi. «Salvini si confronta con tutti, sta dappertutto, spunta anche dal segnale orario, non conosce le domande, risponde a tutti, magari mentre parla con te guarda l'iPad, ma accetta il contraddittorio e alla fine come ascolti fa sempre il botto», racconta Telese.

Se i quattro conduttori si autodefiniscono quelli del «dopo Muro» usciti dalle secche delle feroci contrapposizioni ideologiche, c'è un nuovo fronte che Cruciani individua in questa nuova stagione televisiva. «Il tema dell'immigrazione ha ormai sostituito quello del berlusconismo-anti berlusconismo, con trasmissioni costruite per suscitare scontro e fare ascolti, come quella di Del Debbio, geniale, di cui sono un fan».

Inevitabile un passaggio sulla foto diventata simbolo dell'emergenza migranti: quella del piccolo Aylan. Telese si schiera con chi l'ha usata, anche strumentalizzandola. «Si è parlato di “buonismo” politically correct che ha spinto molti giornali a non pubblicare la foto di Aylan. Ma se è ideologia pubblicarla allora preferisco un po' di sana ideologia». Una convinzione «ribaltata» da Cruciani con i consueti toni diretti: «La penso all'opposto di Luca. Mi fanno schifo quelli che hanno usato quella foto solo per dire che non ci devono essere regole certe sul l'immigrazione». Anche perché, fa notare Porro, «vengono usati due pesi e due misure. C'è un procedimento dell'Agcom contro di me perché ho fatto vedere immagini delle teste tagliate ai cristiani dall'Isis.

Perché, invece, la foto del bambino si può mostrare? Perché fa comodo a qualcuno?».

Commenti