Il giornalista Mussolini

Gli italiani disciplinati trattati da deficienti

Gli italiani disciplinati trattati da deficienti

Ancora una volta - e non sarà l'ultima - i fastidiosi e semi-ufficiosi pedagoghi dell'Italia neutrale, ci hanno impartita la lezione. Ci hanno, cioè, consigliati di star bonini, di mettere il "cuore in pace", di attendere, con fiduciosa aspettazione, la "provvidenza" governativa. Pare quasi inverosimile, al Giornale d'Italia, che ci sia del "nervosismo" nei giornali, dell'ingratitudine nel Paese. È certo che il Giornale d'Italia preferirebbe il viceversa: una stampa addomesticata che fa la cronaca della guerra e per ciò che riguarda l'Italia si rimette all'altissimo senno dei suoi ministri; un Paese acefalo che modella la sua opinione sullo stampo di qualsiasi "fatto compiuto". Ora, le minoranze "nervose e irrequiete" che esistono e che noi - con maggiore o minore fortuna - rappresentiamo, non accettano le "paternali" semi-ufficiose e respingono - come indegna di un popolo civile e arbitro dei suoi destini - la disciplina "coatta" dell'inazione e dell'impotenza, la disciplina complice dei "negozi"...

Ma prima di tutto, perché il Giornale d'Italia non ricerca le cause di questo "stato d'animo" che potrebbe domani estrinsecarsi nelle forme della violenza e della rivolta? In fin dei conti, non potrebbe essere esorbitante questa pretesa del Governo, di imporre una "disciplina" morale della neutralità, di un regime che prolungandosi oltre il lecito, è la negazione di ogni "morale"? Ha il Governo il diritto di esigere la disciplina e il silenzio dei cittadini italiani? Discutiamo. Le cause del "nervosismo", dell'indisciplina morale, sono in relazione col sistema di politica seguito dai governanti d'Italia.

Da nove mesi essi considerano il popolo italiano come una collettività di pupilli, di minorenni, di deficienti. Da nove mesi, noi tutti viviamo in uno stato spaventevole di oscurità. Nessun popolo ebbe mai i suoi nervi messi - per tanto tempo - a così dura prova. O il popolo italiano non ha nervi - come certi viscidi insetti - o li ha fortissimi. Noi tutti sentiamo che, insieme con quello delle Nazioni impegnate nel conflitto, anche il nostro destino è in gioco. Ma non sappiamo nulla. Siamo ciurma vile che deve rimettersi completamente nelle mani del pilota. Il popolo italiano è dunque una ciurma? Tutti gli altri popoli sono stati "illuminati" sulle origini, le fasi, l'epilogo stesso della guerra. C'è ormai una Biblioteca intera di libri diplomatici, di pubblicazioni militari, di discorsi di re e di ministri. In Italia, niente. Il "Libro Verde" annunciato è rimasto inedito in qualche polveroso scaffale della Consulta, di dichiarazioni ce n'è stata una sola e insignificante: quella dell'onorevole Salandra alla Camera nella seduta del tre dicembre. L'unico sprazzo di luce concesso al popolo italiano è venuto dall'onorevole Giolitti, colla sua famosa - ma concertata coll'onorevole Salandra - rivelazione sui propositi austriaci di muover guerra alla Serbia sin dall'agosto del 1913. Sono state intavolate delle trattative fra l'Italia e l'Austria, e il Governo non ha sentito il pudore elementare di annunciarlo in forma ufficiosa agli italiani. Non chiediamo il diario delle trattative, né l'oggetto delle medesime, né i verbali dei colloqui: chiediamo che il Governo con un semplice comunicato della Stefani confermi o smentisca l'esistenza delle trattative. Nemmeno questo. I governanti italiani sono impenetrabili e freddi come le Sfingi egiziane. Il popolo - malgrado il suffragio universale - deve obbedire, tacere e rassegnarsi - quando sarà l'ora - al fatto compiuto. E basta.

Ebbene, questo popolo - malgrado l'oscurità in cui lo si è "volutamente" tenuto - ha dato "finora" saggio di disciplina. Sono passati mesi terribili durante i quali i socialisti stessi si sono piegati a necessità d'ordine nazionale. Se avessero voluto - non tutti, ma qualcuno - "pescare nel torbido", secondo il linguaggio dei procuratori del re, l'occasione non sarebbe mancata. Bastava gettare del petrolio sulle fiamme delle rivolte per la fame. Bastava dare una linea a un movimento spontaneo e grandioso e "legittimo". L'Italia - minata e demoralizzata all'interno - sarebbe stata necessariamente "distrutta" dai problemi d'ordine internazionale e non avrebbe mai chiesto la guerra. Bisogna avere il coraggio di dire che i socialisti "sedando" le rivolte della fame o prevenendole, come è avvenuto nei grandi Comuni da loro conquistati, hanno fatto - consciamente o no - opera di patriottismo molto superiore a quella degli onesti "borghesi".

La disciplina "nazionale" c'è stata. Due miliardi sono stati spesi, settecentomila uomini sono sotto alle armi e nessuno ha protestato. Ma ora la disciplina comincia a pericolare. Il popolo che ha atteso - per lunghissimi nove mesi - una parola, oggi non ne può letteralmente più e domanda e vuol sapere qual destino gli sia riservato, di qual morte deve morire. È umano. Abusare ancora della sua pazienza, sarebbe bestiale. Intanto che cosa fa il Governo? Ci consiglia di mettere il "cuore in pace", ci fa sapere che attende un "evento decisivo" per muoversi e che l'attesa gioverà a rendere perfetta la nostra preparazione militare. Noi ci domandiamo - esterrefatti - in quale stato di incredibile disorganizzazione doveva trovarsi il nostro esercito nel mese di agosto, se con due miliardi e nove mesi non siamo ancora "al punto". O l'impreparazione è una scusa per le tergiversazioni diplomatiche? O è annunciata per reclamare nuovi miliardi? Quanto al "fatto decisivo", che tutti aspettano e che non viene mai, non ha dunque considerato il Governo la verità di questa proposizione fondamentale: che il miglior modo per rendere un "fatto decisivo" è quello di contribuire a crearlo? Przemysl pareva un "fatto decisivo", adesso il "fatto decisivo" sarebbe costituito dalla ormai avvenuta traversata dei Carpazi da parte dei russi. Ma non è intuitivo che se domani le baionette italiane si affacciassero alle frontiere austriache, si faciliterebbe l'invasione dei russi in Ungheria e si sarebbe compartecipi del "fatto decisivo", impedendo anche una precipitosa pace austro-russa?

Noi siamo indotti a sospettare che l'eventualità di una pace austro-russa lusinghi i nostri diplomatici e i nostri governanti. Se la Germania da una parte e la Triplice Intesa dalla altra, acconsentono a una pace separata austro-russa, i nostri diplomatici farebbero il loro gioco e raggiungerebbero il loro obiettivo che è quello della "piccola guerra" soltanto contro l'Austria. Se la Germania - dopo una pace austro-russa si "disinteressa" dell'Austria-Ungheria - la Germania si disinteresserà allo stesso modo di una guerra dell'Italia contro l'Austria, guerra che, non coinvolgendo la Germania, renderebbe ancora possibile una collaborazione diplomatica italo-tedesca. Colla Serbia è facile raggiungere un accordo particolare.

Sono ipotesi, eventualità, ma questa incertezza perdurante rende legittimo ogni sospetto e, fra poco, ogni esasperazione. Noi restiamo quindi sordi agli appelli per la disciplina nazionale. Per esigere la "disciplina" da un popolo, nel secolo XX, bisogna "illuminarlo". Noi "indisciplinati" abbiamo la coscienza di avere assolto a un nobilissimo dovere patriottico. Rendendo "popolare" la necessità della guerra, noi abbiamo contribuito a creare il "morale" delle truppe che dovranno combattere domani. Gli "interventisti" disseminati nella compagine dell'esercito, saranno di sprone agli altri e saranno i migliori soldati perché sapranno la "ragione" della guerra. Data la compagine prevalentemente "rurale" dell'esercito italiano, questa infusione di elementi "idealisti" avrà, senza dubbio, benefiche ripercussioni sull'esito della guerra. I nostri propositi sono chiari. D'ora innanzi noi accettiamo una sola disciplina: quella della guerra. Se il generale Cadorna non dirà la parola che attendiamo, l'Italia sarà fatalmente insanguinata dalla "guerra civile"...

11 aprile 1915

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