Tunisi ferita

"Le guardie erano a bere il caffè". Il flop della sicurezza tunisina

La denuncia del vicepresidente dell'Assemblea. Solo un centinaio di manifestanti sfila contro il terrorismo

"Le guardie erano a bere il caffè". Il flop della sicurezza tunisina

Una pausa caffé di troppo avrebbe agevolato il massacro al museo del Bardo di Tunisi. La denuncia arriva dal vicepresidente dell'Assemblea tunisina Abdel Fattah Mourou. «Non c'erano agenti di polizia quando i terroristi hanno aperto il fuoco contro i turisti e li hanno presi in ostaggio. Ho scoperto che c'erano solo quattro poliziotti assegnati alla sicurezza dell'edificio del Parlamento, due dei quali erano a prendere il caffé, il terzo stava facendo uno spuntino e il quarto non si era alzato», ha rivelato lo storico fondatore di Ennahda.

Che il museo fosse un obiettivo sensibile si sapeva da mesi. Per queste ragioni l'allora ministro degli Interni Lofti Ben Jeddou aveva disposto il rafforzamento delle misure di sicurezza all'ingresso principale, dislocando otto uomini armati e predisponendo un sistema di filo spinato apparentemente invalicabile. Purtroppo non era la prima volta che gli agenti si assentavano dal posto di lavoro per futili motivi, lasciando sguarnito il portone d'ingresso. Lo dimostrano alcuni scatti fotografici che risalgono alla fine del 2014. Sulla vicenda non si è espresso il ministero degli Interni, mentre il presidente Essebsi ha avuto parole d'elogio per la pronta reazione delle forze di sicurezza che «hanno impedito una catastrofe».

Il giorno del 59esimo anniversario di indipendenza del Paese è diventata l'occasione per i tunisini di tornare in piazza e manifestare contro il terrorismo. Al corteo, che si è snodato nella centralissima Avenue Bourghiba, ha preso parte però soltanto un centinaio di persone. Sullo striscione che apriva la manifestazione si poteva leggere: «Il terrorismo non è musulmano né tunisino». Un messaggio importante, ma raccolto e recepito solo in parte dalla cittadinanza. La Tunisia si dimostra perplessa e divisa. Ieri al corteo si è sentita soprattutto l'assenza dell'ala laica del Paese che ha preso le distanze da Ennhada, il partito islamista andato al potere dopo la rivoluzione dei gelsomini. Forse perché uno dei due attentatori uccisi dalle forze di sicurezza, Jabeur Khachnaoui, era stato militante del partito della Fratellanza.

In queste condizioni potrebbe sfumare il progetto del ministro dello Sviluppo Yassine Brahim, che sognava una marcia contro il terrorismo con capi di Stato e rappresentanti di governo da tutto il mondo, sull'esempio di quella avvenuta dopo i tragici fatti parigini.

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