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Hong Kong contagia la Cina: prima rivolta contro Pechino

Nella città di Wenlou proteste per la costruzione di un crematorio. Stessi slogan rivoluzionari dell'ex colonia

Hong Kong contagia la Cina: prima rivolta contro Pechino

Mentre l'opposizione anti cinese (che in realtà ha dimostrato nelle urne di essere maggioranza) proclama un nuovo sciopero generale a Hong Kong, e il governo di Pechino risponde alle mosse americane a sostegno dei rivoltosi annunciando importanti sanzioni contro gli Usa, dalla cittadina cinese di Wenlou rimbalza una notizia che con i fatti di Hong Kong ha rilevanti collegamenti, e che certamente dà nuove preoccupazioni al presidente Xi Jinping.

In questo piccolo centro della provincia meridionale del Guangdong a circa 100 chilometri da Hong Kong centinaia di persone sono scese per le strade giovedì inscenando una violenta protesta con tanto di barricate e lancio di mattoni contro la polizia anti sommossa. Occasione della protesta e degli scontri è stata la decisione delle autorità di far costruire all'interno di un nuovo parco pubblico, senza prima informare la cittadinanza, un crematorio, che nella cultura cinese è considerato di malaugurio. La similitudine con Hong Kong non sta tanto nel fatto che la polizia abbia fatto largo uso di cannoni ad acqua e gas lacrimogeni, oltre ad aver arrestato circa 200 persone, quanto nelle modalità impiegate dai contestatori. I quali non solo hanno reagito all'attacco delle forze dell'ordine ricorrendo a metodi da guerriglia urbana e arrivando a capovolgere le auto della polizia, ma hanno cantato gli stessi slogan anti regime di Hong Kong («Rivoluzione adesso») e hanno fatto riferimento alla rivolta della vicina ex colonia britannica: un dimostrante ha detto a un cronista che «proprio come a Hong Kong, le proteste sono esplose nella nostra città».

Non è tutto. Seguendo l'esempio dei manifestanti di Hong Kong, gli abitanti di Wenlou hanno posto cinque richieste alle autorità per fermare le proteste: abbandonare il progetto del crematorio, aprire un'indagine sulle violenze della polizia, liberare gli arrestati, risarcire i danni e rispettare il progetto originario per lo spazio verde. A differenza di quanto sta accadendo a Hong Kong, le autorità di Wenlou hanno scelto il compromesso per evitare che la situazione degenerasse: è noto che il partito comunista cinese teme molto l'effetto-contagio delle proteste nella metropoli finanziaria, e che l'eventualità che manifestazioni anti sistema simili siano replicate nelle città della Cina è un incubo per Xi Jinping. Così, le autorità di Wenlou hanno prima annunciato che il progetto del crematorio sarebbe stato «sospeso per consultazioni», e in seguito assicurato che non se ne farà nulla. Nel fine settimana, la polizia ha inoltre rilasciato, secondo il giornale di Hong Kong Apple Daily, la quasi totalità dei 200 arrestati.

Le proteste popolari in Cina, in realtà, non sono un fatto raro come si potrebbe credere. Nello sterminato Paese con oltre 1,3 miliardi di abitanti, se ne contano centinaia al giorno. Di solito sono confinate in aree rurali e hanno come oggetto aspetti pratici della vita locale. I dimostranti, inoltre, hanno sempre cura di sottolineare la loro fedeltà al partito comunista. Il governo non ha interesse a reprimere questo genere di proteste, e le tollera.

Dimostrazioni come quella di Wenlou, invece, inquietano profondamente il partito, che in questo caso sembra aver scelto la via del compromesso per ragioni tattiche contingenti: l'esempio di Hong Kong, descritto sui media cinesi come una rivolta di teppisti finanziati da forze straniere, fa paura.

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