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Hong Kong, frecce e catapulte Xi pensa di vietare le elezioni

Assedio all'ateneo, la polizia fa irruzione: esplosioni e agenti feriti. E ora Pechino prepara la repressione

Hong Kong, frecce e catapulte Xi pensa di vietare le elezioni

È diventata ancora più cruenta la guerriglia tra agenti e studenti. Dopo una notte di stallo, la polizia ha fatto irruzione nel Polytechnic University di Kowloon dove erano asserragliati circa 200 manifestanti pro-democrazia. Subito dopo si sono sentite delle esplosioni. Per tutta la giornata il fortino del Politecnico è stato assediato dalla polizia. Molotov, frecce incendiarie e proiettili scagliati con catapulte artigianali. Un blindato dato alle fiamme durante scontri di violenza senza precedenti, con decine di arresti.

In questa domenica di novembre, Hong Kong somiglia sempre più a un campo di battaglia e la situazione sul terreno sembra ormai azzerare le speranze di una ricomposizione pacifica di un conflitto che è sempre più apertamente una sfida totale del Davide dell'anima filoccidentale dell'ex colonia britannica al Golia della strapotente Cina comunista. E mentre le fiamme si alzano al cielo nel cuore come in diverse aree della periferia della metropoli finanziaria, passo dopo passo sembra avvicinarsi la ormai quasi inevitabile decisione di Xi Jinping, l'uomo che vuole essere il Mao del XXI secolo, di usare la forza di cui dispone per fermare i disordini.

Il caos è ormai totale, come vuole la frazione più estremista degli attivisti che sono scesi nelle strade, ormai votata a un «tanto peggio tanto meglio» che pare avere qualcosa di suicida. Tutte le scuole saranno chiuse quest'oggi, dopo l'annuncio che lo sciopero contro il governo filocinese di Hong Kong proseguirà nonostante i minacciosi richiami delle autorità alla «responsabilità di ogni cittadino» in materia di ordine pubblico.

Le principali vie di collegamento all'interno del territorio autonomo sono bloccate dai dimostranti, tornati in azione ieri in grande stile dopo che sabato era stata una giornata di calma relativa, in cui l'evento principale era stato l'intervento pacifico di militari cinesi nelle strade, inviati a ripulire le strade dai residui degli scontri dei giorni precedenti. Molti temono che si sia trattato di un avvertimento: come abbiamo agito pacificamente per ripulire le strade, questo sarebbe il messaggio che Pechino ha inviato attraverso i suoi militari, così potremo farlo con ben altri metodi quando lo riterremo opportuno.

Ma intanto i tentativi di sbloccare la situazione sul terreno sono falliti. Lo si è visto in particolare ieri quando un blindato della polizia che era stato inviato per sgomberare i dimostranti da un cavalcavia vicino a un campus universitario è stato bersagliato da bombe molotov ed è stato costretto a retrocedere in fiamme. Per non parlare di un poliziotto che si è trovato un polpaccio perforato da una freccia scagliata da dietro una barricata eretta da studenti inferociti.

Nessuno sa quanto potrà durare la politica attendista scelta da Pechino. Già si era creduto che la tolleranza si sarebbe esaurita entro lo scorso 1° ottobre, giorno della festa nazionale cinese che Xi non voleva veder guastato da una sfida politica di piazza contro il potere comunista. Così non è stato, e le minacce di repressione si sono susseguite fino a oggi senza che lo spettro di Tienanmen si manifestasse, il che forse dà ai giovani nelle piazze una falsa speranza di immunità, la stessa che illuse i loro predecessori a Pechino nel 1989.

Tra due settimane sono previste a Hong Kong elezioni distrettuali (più libere di quelle per il Parlamento locale) nelle quali gli oppositori del regime sperano di dar prova del loro ampio sostegno popolare.

Ma già c'è chi dice che Xi ne ordinerà il rinvio per risparmiarsi uno smacco.

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