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I conti sballati degli indipendentisti catalani. Irrilevanti per Madrid e "sotto scacco" Psoe

Socialisti maggioranza al Senato: decideranno sulle autonomie regionali

I conti sballati degli indipendentisti catalani. Irrilevanti per Madrid e "sotto scacco" Psoe

Se la vendetta è un piatto che si serve freddo, quella in salsa catalana servita da Pedro Sanchez potrebbe rivelarsi addirittura ghiacciata. Il premier uscente e leader dei socialisti spagnoli ha un conto aperto con gli indipendentisti della Catalogna, che avevano «premiato» le sue aperture provocando la caduta del suo governo e costringendolo a imboccare l'indesiderata via delle elezioni anticipate, terza chiamata alle urne per gli spagnoli nel giro di soli quattro anni. I secessionisti di Esquerra Republicana de Catalunya (Erc), il partito di sinistra che ha tra le sue fila l'ex vice presidente della regione Oriol Junqueras attualmente in carcere proprio per il tentativo di secessione del 2017, avevano calcolato di ottenere maggior forza contrattuale dal nuovo voto in sede di formazione del governo centrale a Madrid, ma hanno sbagliato i loro conti. Non solo infatti Sanchez non mostra alcuna intenzione di chiedere il loro sostegno, ma soprattutto il suo Psoe si è ritrovato in mano alla fine del conteggio delle schede un asso di bastoni che potrà minacciare di usare proprio sulle schiene degli indipendentisti catalani.

È accaduto che i socialisti che pure hanno solo una maggioranza relativa alla Camera dei deputati per la prima volta dal lontano 1993 hanno conquistato la maggioranza assoluta dei seggi al Senato. Questo si è potuto verificare grazie ai 18 seggi assegnati al Psoe delle amministrazioni autonome regionali, che sommandosi ai 121 usciti domenica dalle urne portano il totale dei socialisti a 139, superiore dunque alla soglia di maggioranza fissata a quota 134. Ora, è vero che il voto di fiducia al governo spagnolo ha luogo alla Camera, ma il Senato ha due prerogative molto importanti: la prima è l'esclusiva per la nomina dei giudici costituzionali, mentre la seconda ancora più strategica politicamente è quella sull'applicazione dell'articolo 155 della Costituzione. Si tratta dell'articolo in base al quale, nella passata legislatura, è stato votato per iniziativa dell'ex premier popolare Mariano Rajoy lo scioglimento del governo secessionista della Catalogna, attribuendo al governo centrale di Madrid l'amministrazione della regione ribelle. In pratica ciò significa che Pedro Sanchez ha nelle mani il potere esclusivo di decidere se farvi nuovamente ricorso: e ci vuol poco a capire che questo indebolirà di molto il potenziale di pressione dei catalani quando tornerà il momento del braccio di ferro con Madrid.

Il voto di domenica ha comunque portato a un rafforzamento dei secessionisti alla Camera spagnola, che possono ora contare su 22 eletti. Questo sulla carta però, in quanto cinque di loro (tra deputati e senatori) si trovano in prigione per il loro ruolo nel tentativo di secessione attuato due anni fa. Oltre al già citato Oriol Junqueras che è il principale imputato e rischia una condanna a 25 anni nel processo avviato lo scorso 12 febbraio si tratta di Raul Romeva, ex «ministro degli Esteri» di Barcellona che è stato eletto senatore anche lui per Erc, e di tre esponenti dell'altro partito indipendentista Junts per Catalunya, Jordi Sanchez, Jordi Turull e Josep Rull. Quanto al leader di Junts, l'ex presidente catalano Carles Puigdemont rifugiatosi in Belgio per evitare il carcere, ha ricevuto dalla giunta per le elezioni spagnola la comunicazione dell'esclusione dalle liste per le imminenti elezioni europee.

Alla decisione, che riguarda altri due candidati autoesiliatisi all'estero, verrà opposto ricorso, e i secessionisti catalani annunciano fin d'ora che contesteranno la validità della consultazione.

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