Elezioni Regionali 2020

I giallorossi ora tremano Sentono aria di sconfitta anche in Emilia Romagna

I giallorossi ora tremano Sentono aria di sconfitta anche in Emilia Romagna

La maggioranza è in fuga e avverte aria di sconfitta in Emilia Romagna. Pd, M5s, Leu e Italia Viva disertano la seduta in giunta per le immunità del Senato che ha dato il primo via libera al processo contro Matteo Salvini per il caso della nave Gregoretti. La mossa del leader della Lega, che ha chiesto ai senatori del Carroccio di spedirlo a processo, ha spiazzato Zingaretti e Di Maio. Al Nazareno l'aria è cupa. I segnali che arrivano dalla regione rossa, che domenica andrà al voto per eleggere tra Lucia Borgonzoni (Lega-Fratelli d'Italia e Forza Italia) e Stefano Bonaccini (centrosinistra) il futuro governatore, sono neri. La vittoria del centrodestra nel fortino (della sinistra) appare ormai a portata di mano. Il centrodestra riempie le piazze. Di Maio e Zingaretti hanno fatto solo una toccata e fuga.

Bonaccini si aggrappa al movimento delle Sardine per ridare un po' di ossigeno alla campagna elettorale. La fuga dalla votazione in giunta per le immunità sul caso Gregoretti è un segnale di forte debolezza: i giallorossi hanno annunciato voto favorevole alla richiesta dei magistrati di Catania. Ma ora, alla prova dei fatti, sono scappati. Temendo che il via libera al processo sia un autogol. Un assist al leader della Lega nel rush finale della competizione elettorale. Un'arma che l'ex ministro dell'Interno mette in campo nell'ultimo tratto della campagna elettorale. Da giorni i vertici del Pd guardano (e riguardano) i sondaggi riservati: lo scarto in Emilia Romagna sarebbe minino. E dunque l'esito è imprevedibile. In Calabria la candidata di Forza Italia Jole Santelli sembra irraggiungibile: un doppio ko farebbe calare il sipario sul governo guidato dell'avvocato del popolo.

Non è bastato rinviare a dopo il voto i dossier spinosi: prescrizione, Autostrade, tasse. Il segretario del Pd è in bambola e accusa Salvini di uso politico della giustizia: «Salvini sta usando ancora una volta la giustizia per motivi politici e personali. Scelta va presa leggendo le carte, non per indirizzo politico. Lui è garantista su se stesso, giustizialista per avversari», dice a Rtl 102.5. Si fanno calcoli e previsioni. Ma lo scenario sembra già delineato: se cade il fortino rosso, il governo Conte ha i giorni contati. Che fare? Al Nazareno si ragiona sul day after. E le posizioni sono diverse e contrastanti. Dario Franceschini, ministro della Cultura e capo della delegazione dem nell'esecutivo, è per andare avanti. Tirare a campare, insomma. Andrea Orlando e Goffredo Bettini spingono per lo strappo: congresso e alleanza con i Cinque stelle. Per il voto anticipato c'è anche Matteo Orfini, che però boccia l'intesa con i grillini. Graziano Delrio, capogruppo dei dem a Montecitorio, nell'intervista al Corriere della sera, mette le mani avanti: «Se dovessimo perdere, ci sarebbero ovviamente tantissime ripercussioni su tutti i fronti. Non cadrà il governo ma non potremmo di certo far finta di nulla». C'è poi la variabile Renzi: il vero timore di Pd e 5s è che sia, alla fine, il leader di Italia Viva a rompere, usando il pretesto del tracollo in Emilia. Sarà utile consegnare nelle mani di Renzi la pistola per ammazzare l'esecutivo? O è meglio assumersi la responsabilità della fine di un governo nato con una manovra di Palazzo? Per ora, si fugge. Senza decidere.

Ma l'ora delle scelte è dietro il voto in Emilia.

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