Coronavirus

Inchieste a raffica sulle Rsa lombarde

Dopo Tivulzio, Don Gnocchi e Mediglia, indagini anche su Sacra Famiglia e Lodigiano

Inchieste a raffica sulle Rsa lombarde

Milano Invocata, temuta, minacciata, alla fine l'ondata giudiziaria si è abbattuta sul fronte del coronavirus. Omicidio colposo, pena fino a cinque anni, e soprattutto diffusione colposa di epidemia, pena fino a dodici anni. Sono questi i reati che le Procure di Milano e di Lodi stanno contestando in queste ore ai vertici di quattro strutture di accoglienza per anziani dove nei giorni successivi al 21 febbraio gli interventi a protezione dei ricoverati e del personale sarebbero stati colpevolmente omessi. Tra le case di riposo finite nel mirino della Procura di Milano ci sono il Pio Albergo Trivulzio, la fondazione Don Gnocchi e la Sacra Famiglia di Cesano Boscone. La magistratura di Lodi indaga invece sulla Rsa «Borromea» di Mediglia, dove in venticinque giorni sono spirati 44 ospiti.

In tutta Italia le case di riposo sono state falcidiate, dei 3.859 anziani morti nelle Rsa da febbraio ben 1.443 avevano sintomi compatibili col virus. Ma è nel milanese che per prima la magistratura aveva aperto un faro su questo versante, seguita ieri a ruota dalle Procure di Trieste e di Lucca. L'offensiva a Milano era partita già nei giorni scorsi, quando il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano aveva iscritto una serie di fascicoli a carico di ignori, tutti relativi ai presunti picchi di mortalità registrati nelle strutture. Bisogna parlare di «presunti» non solo perché i vertici di parte delle aziende hanno contestato che la crescita di decessi sia stata, considerata la fascia d'età dei ricoverati, maggiore di quella registrata all'esterno. Ma anche perché gli stessi inquirenti ammettono ieri che quantificare con precisione i morti dovuti al Covid-19 non è facile, visto che quasi tutti gli anziani sono stati cremati senza autopsia.

Intanto, però, i Nas bussano alla porta della «Baggina», come i milanesi chiamano il Trivulzio. Qui a venire indagato è Giuseppe Calicchio, direttore generale, da tempo nel mirino da parte dei sindacati interni (ma difeso nei giorni scorsi da molti dipendenti con una lettera ai giornali). L'incriminazione di Calicchio, spiegano in Procura, è un atto dovuto per compiere una serie di accertamenti, ma è chiaro che a pesare sul dg ci sono i ritardi, denunciati dai sindacati, nell'adozione delle misure di protezione. Un report interno citato dall'Agi dice che il 28 febbraio le poche mascherine disponibili erano state requisite per essere assegnate solo «a chi ne ha davvero bisogno». Stesso tema al Don Gnocchi, dove vengono indagati il direttore, la direttrice sanitaria e l'amministratore di una cooperativa: qui, a differenza del Trivulzio che ha scelto il silenzio stampa, la direzione replica spiegando di avere già inviato nei giorni scorsi in Procura una memoria che dimostra la «infondatezza delle accuse».

Ora verranno analizzati i provvedimenti, i flussi del materiale, le scelte compiute dai singoli dirigenti. Ma il vero problema resta quello di individuare con certezza i decessi dovuti al Covid-19. Nella statistica nazionale sulle Rsa diffusa ieri, dei 1.443 decessi con sintomi «compatibili» col virus, solo 133 erano positivi al tampone.

Giudiziariamente, una differenza non da poco.

Commenti