Carabiniere ucciso

Ingaggiato il legale del caso Cucchi. Killer senza vergogna: "Ma è morto?"

Elder Lee al college aggredì due studenti. Fu processato, ma se la cavò

Ingaggiato il legale del caso Cucchi. Killer senza vergogna: "Ma è morto?"

Colazione, pranzo e cena. In carcere la vita è scandita dal rancio. Gesti meccanici e parole scontate: «Ecco il vassoio», «Grazie». È il mantra all'ora del pasto, quando il cibo offre un'illusione di normalità anche a chi vive dietro le sbarre. Ma neanche questa regola vale per i due giovani americani che hanno ucciso il vicebrigadiere: loro quel thank you di prammatica non riescono proprio a dirlo. Mangiano con la testa bassa. Da soli.

Ognuno nella propria cella. Non possono vedere e parlare con nessuno. E forse, per loro, è meglio così. Nei riguardi di Elder Finnegan Lee, 19 anni, colui che ha sferrato le 11 coltellate che hanno ucciso il carabiniere, e del suo degno compare, Christian Gabriel Natale Hjorth, 18 anni, in carcere non tira infatti una buona aria. Solo ora - a quasi una settimana dall'omicidio - i due statunitensi pare comincino a rendersi conto di quanto hanno fatto. Natale Hjorth piange, Elder Lee, senza vergogna, ha chiesto: «Ma è morto davvero?». Sì, Mario è morto «davvero». Impossibile salvarsi da una furia di fendenti tirati con un pugnale da guerra.

Una lama lunga e doppia che non lascia scampo al «nemico». Elder Lee quell'arma se l'era portata dall'America, non certo per scopi pacifici. A questo 19enne ricco e viziato, i coltelli piacciono. E gli piace anche usarli. Ma anche a mani nude se la cava alla grande. Come quella volta nel suo college a San Francisco, quando quasi ammazzò di pugni un suo coetaneo; o come quell'altra volta quando per uno «diverbio sportivo» massacrò di botte un avversario. Episodi risalenti a tre anni fa, quando Elder Lee aveva appena 16 anni ma già menava come un veterano. Pugni, calci, colpi in testa e al fegato «potenzialmente letali». Aggressioni per le quali fu giudicato dal Tribunale dei minori della California, cavandosela grazie alla giovane età e ai soldi del papà. Famiglia benestante, quella del reo confesso dell'omicidio romano, abituata a toglierlo sempre dai guai in cui puntualmente si cacciava. Ma ora l'ha fatta veramente grossa. Da testa calda si è trasformato in killer spietato. E ora dal carcere non dovrebbe (ma il condizionale è d'obbligo) uscire più. Ma già la stampa americana si sta dividendo: da una parte i giornali che puntano sul caso della «fotografia del volto bendato»: dall'altra chi non risparmia critiche sul passato violento dei due arrestati, soprattutto di Elder Lee. Su di lui scrive il San Francisco Chronicle: «Durante una partita il 29 ottobre 2016 dette un pugno a un giocatore (...). Inoltre colpì un altro studente di 16 anni che venne ricoverato in ospedale con ferite potenzialmente letali. Dopo l'aggressione fu arrestato con l'accusa di gravi lesioni fisiche». Ieri si è saputo che l'avvocato Francesco Petrelli è il nuovo difensore di Natale Hjorth: si tratta dello stesso legale che assiste attualmente anche il carabiniere Francesco Tedesco, imputato nel processo in corte d'Assise sul pestaggio subito in caserma da Stefano Cucchi al momento dell'arresto la notte tra il 15 e il 16 ottobre del 2009. Tedesco, accusato di omicidio preterintenzionale, ha chiamato in causa di recente due colleghi dell'Arma per le botte date al geometra 31enne, deceduto dopo sei giorni. Intanto il Dipartimento di Stato americano fa sapere che «vigilerà attentamente sulla correttezza delle indagini» che riguardano i loro connazionali Lee e Hjorth.

Proclama che sa di intimidazione.

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