Coronavirus

"Io, eremita sulle Alpi solo a casa vivo da re"

È isolato da 20 anni, fa la spesa ogni 7 mesi: "Il postino? Visto una volta sola"

All'uscita delle prime disposizioni per prevenire il contagio da covid19 Giuseppe Pozzi si è chiesto se per lui i metri da tenere dagli altri fossero da calcolare in distanza o dislivello.

«Adesso sono in letargo», scherza mentre mette a posto viti, chiodi e attrezzi nel laboratorio della sua baita che si affaccia sul Monte Rosa. A quota 2097 metri, nel silenzio di un alpeggio dove non vive nessun altro a parte lui. Se le ultime settimane hanno ridisegnato radicalmente le abitudini di vita della maggior parte degli italiani per lui non è cambiata una virgola. «É da 20 anni che sono abituato alla quarantena», se ne esce. Battuta pronta che nonostante l'isolamento e il letargo in cui dice di essere immerso è lo specchio di un carattere che dell'orso non ha nulla.

Ma c'è da credergli: dall'Alpe Sattal ci sono 840 metri di dislivello e quasi 3 chilometri da fare a piedi per scendere ad Alagna, paese dei walser in provincia di Vercelli dove l'asfalto finisce ai piedi del Monte Rosa. Lungo il sentiero numero 9 con passo normale ci sono almeno due ore di cammino per arrivare dove ha deciso di costruire la sua casa. Nel maggio del 1997 ha allestito un campo, ha smontato sasso per sasso il rudere sopra cui è spuntata la sua baita di 35 metri quadrati su due piani. Ha fatto scavo a mano e gettata, messo i portanti. Una corsa contro il tempo per finire prima dell'inverno. Gran parte dell'attrezzatura se la è portato su lui nello zaino: «Lavoravo 17 ore al giorno, ho perso 22 chili in due mesi». Poi sono arrivati i pannelli solari, batteria, corrente, acqua. Oggi le notizie sul Covid19 le può seguire su Sky e una notte da lui qualcuno se la sceglie come esperienza perchè, per qualche mese all'anno, la sua baita diventa un bed and breakfast. Adesso non è stagione, il b&b è chiuso e lui si gode il suo finto letargo «Perchè quassù non manca mai da fare». Quest'anno a causa della neve è stato bloccato tre settimane a novembre e a Natale, sempre la neve, gli ha fatto saltare il pranzo con la mamma a Como: «L'ho vista solo due settimane dopo». Niente in confronto all'inverno 2014 quando è restato isolato per due mesi e mezzo. La differenza tra lui e chi si è trovato a fare i conti con la permanenza forzata in casa è che «io ero già preparato. Qui ci si avvicina più alla condizione animale.

L'importante è risparmiare energie e la salute: in natura un animale ferito è un animale morto». Non vuole dare consigli a nessuno: «So che cambiare le abitudini non è semplice e per affrontare la solitudine devi prima di tutto stare bene con te stesso». Mettere in pratica l'undicesimo comandamento dello «stare a casa» all'Alpe Sattal non è un problema. «Però me lo sono scelto io a differenza di chi ora è costretto a subire la situazione».

E lui, quasi 2mila metri sopra i tormenti di runners e le interpretazioni delle circolari ministeriali sulle passeggiate, da casa potrebbe pure uscire senza l'ansia delle autocertificazioni. Il resto è questione di un'organizzazione rodata negli anni: «La spesa ad ottobre la faccio per arrivare almeno fino a maggio. Scatolame, riso, pasta, olio sono fondamentali sul lungo periodo. Per i prodotti freschi mi organizzo in base alle condizioni meteo», spiega uno che in 20 anni il postino l'avrà visto una volta. «Si, ma perchè faceva un'escursione con la moglie e mi è passato a salutare...

».

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