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In Iran è febbre da gioco d'azzardo: è vietato, ma lo gestisce un ayatollah

Giro d'affari da 8 milioni: scommesse anche sulla serie A

In Iran è febbre da gioco d'azzardo: è vietato, ma lo gestisce un ayatollah

Rouzbeh è un taxista che lavora in prevalenza nei quartieri Zafaranieh e Jordan di Teheran, quelli delle ambasciate, dell'università e delle ville dell'aristocrazia della capitale iraniana. Quando a salire sulla sua vecchia Khodro modello Samand è un occidentale non perde occasione per domandare qualche consiglio sulle partite di calcio in programma nell'immediato o nei giorni successivi. Non ci sarebbe nulla di strano se questa scena si consumasse a bordo di un taxi italiano, inglese o spagnolo. In Iran invece le scommesse e il gioco d'azzardo sono vietati e le condanne piuttosto severe (fino a 10 anni di reclusione).

Tutto nasce da un'interpretazione del Corano secondo la quale nell'azzardo la tentazione di guadagnare facilmente molto denaro è smisurata, ma ogni facile guadagno viene visto in maniera negativa e demoniaca. Rouzbeh però non ha paura del demonio e di esibire la schedina, chiedendo consigli sulla sfida del campionato inglese tra lo Stoke City e il Tottenham in programma domani sera. «In realtà qui a Teheran giocano tutti, in barba alla legge e alla religione. Chi gestisce il gioco è una persona molto importante». Il nome non salta fuori dal taxista, ma a svelare l'arcano è Fuad Pashaie, leader del Partito Costituzionalista, movimento dichiarato fuorilegge per le idee liberali, e costretto per sopravvivere a dover aprire una sede in California. «A gestire le scommesse è l'ayatollah Mohammadi Reyshahri - racconta Pashaie dagli uffici di Los Angeles - sono anni che vado avanti a denunciare una situazione scomoda. Nessuno mi ha mai smentito perché tutti in Iran sanno come funzionano certe cose. Alla luce dell'importanza del personaggio le autorità preferiscono far finta di nulla». Reyshahri, oggi 71enne, è un uomo che pur ritiratosi un paio d'anni fa dalla politica attiva continua a essere tra i protagonisti più influenti del regime. Nel 1979 fu a fianco di Khomeini durante la rivoluzione che rovesciò la monarchia per instaurare il fondamentalismo sciita, fino a diventare il direttore del Ministero delle Informazioni, il temuto servizio segreto. All'epoca lo chiamavano «l'ayatollah spaventoso» perché non perdeva occasione per torturare personalmente i prigionieri politici. Tra di loro anche il capo religioso Shariat Madari, fatto arrestare dallo stesso Reyshahri a causa della presunta tendenza moderata, che andava in contrasto con quella radicale del clero rivoluzionario. In realtà Madari, amico fraterno di Khomeini, stava per soffiargli il posto e Reyshahri si inventò un'accusa di apostasia per sbarazzarsene. L'ayatollah spaventoso, che non ha avuto alcun tipo di remora a prendere in moglie una bambina di 9 anni, ha sempre avuto un debole per il gioco, sperperando le fortune che aveva accumulato durante gli anni d'oro della rivoluzione nei suoi blitz nei casinò occidentali. «Ridotto sul lastrico - aggiunge il "californiano" Pashaie - non ha esitato a mettere in piedi un'organizzazione clandestina di giochi d'azzardo e scommesse, per un giro d'affari che ormai supera abbondantemente gli otto milioni di dollari solo a Teheran». L'establishment iraniano è al corrente dei loschi affari del «moralizzatore» Reyshahri, che però gode di appoggi da parte di pezzi della nomenclatura legati alla Guida Suprema Khamenei. Quando nel 2014 il ministro delle Finanze Samsami sollevò la questione ci mancò poco che venisse rimosso dall'incarico.

Tutto questo mentre nel Paese delle contraddizioni c'è addirittura chi vorrebbe vietare il gioco degli scacchi, già messo al bando dal 1979 al 1988.

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