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Israele e la tassa su Gesù: chiude il Santo Sepolcro

L'idea di un'imposta sulle proprietà della Chiesa Le autorità cristiane: stop alla tomba di Cristo

Israele e la tassa su Gesù: chiude il Santo Sepolcro

«Il troppo è troppo», si legge su un manifesto appeso fuori dall'edificio sacro, che chiede di «fermare la persecuzione delle Chiese». E in una nota, i leader del Patriarcato greco-ortodosso, del Patriarcato armeno e della Custodia di Terra Santa - incaricati della gestione dei luoghi di culto cristiani a Gerusalemme - spiegano di voler restare «uniti, fermi e risoluti per proteggere i nostri diritti e le nostre proprietà». Perciò hanno deciso, con una mossa che non ha precedenti, di chiudere a tempo indeterminato le porte del luogo simbolo della Cristianità, la Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme che ogni anno è meta del 90 per cento degli oltre due milioni di turisti cristiani che scelgono la Città Santa (e il 2017 è stato un anno da record). Porta sbarrata e grande delusione per le migliaia di visitatori che scelgono quotidianamente la Città Vecchia anche per visitare l'edificio sacro costruito sul luogo che la tradizione cristiana indica come quello della crocifissione, unzione, sepoltura e resurrezione di Gesù. Se non si trattasse di una Chiesa, si parlerebbe di sciopero. In un momento cruciale, con in vista della Pasqua

All'origine della protesta c'è un disegno di legge che avrebbe dovuto essere dibattuto dal governo israeliano proprio nelle ore in cui è scattata la contestazione delle autorità cristiane. E che prevede l'espropriazione, per mano dello Stato d'Israele, dei terreni venduti a partire dal 2010 dalla Chiesa cattolica romana e da quella greco-ortodossa a imprenditori privati e metterebbe a rischio gli attuali residenti, che nell'arco dei prossimi 20-50 anni potrebbero essere costretti a lasciare le proprie case e restare senza un tetto. La chiusura del Santo Sepolcro ha fatto slittare il dibattito. Ma al centro della controversia c'è un'altra misura - stavolta in capo alla municipalità di Gerusalemme - che riguarda invece la tassazione delle proprietà detenute dalla Chiesa e limiterebbe la possibilità di vendita ai privati. Si tratta in tutto di 887 proprietà per un totale di 650 milioni di shekel, 151 milioni di euro circa, che non includono tuttavia i luoghi di preghiera, come ha specificato il comune di Gerusalemme. Eppure, per le Chiese incaricate di gestire il Santo Sepolcro, si tratta comunque di provvedimenti che svelano «una campagna sistematica di abusi contro le Chiese e i cristiani» e di «flagrante violazione dello status quo». Non solo. «Queste azioni - scrivono - sembrano un tentativo di indebolire la presenza cristiana a Gerusalemme» e chiedono l'intervento dei leader mondiali, anche perché - insistono - le principali vittime saranno «le famiglie impoverite che non avranno vitto e alloggio».

Inutile la precisazione del sindaco della Città Santa Nir Barkat, secondo cui i nuovi piani dell'amministrazione non prevedono tassazione né per le chiese né per i luoghi di preghiera». La questione è invece un'altra e il sindaco la spiega molto chiaramente: «Ha senso che ci siano aree commerciali che hanno alberghi e negozi ma che non pagano imposte solo perché sono di proprietà della Chiesa? Non permetterò che siano i residenti di Gerusalemme a colmare questo debito». Sulla questione interviene anche la deputata Rachel Azaria, che ha promosso il disegno di legge: «Quelle aree rimarranno proprietà della Chiesa, nessuno vuole sottrarle, in nessun caso.

La questione riguarda quel che succede quando i diritti vengono venduti a parti terze».

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