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Di KitKat non ce n'è più uno solo

Lo snack non è riconoscibile ovunque. E ora chiunque può imitarlo

Di KitKat non ce n'è più uno solo

Indovinello: qual è quello snack che ha la forma di quattro dita allineate di wafer ricoperto di cioccolato? Se rispondete golosi: «Il KitKat!», avete azzeccato. Ma avreste azzeccato anche se lo aveste chiamato ZipZap o, chessò, Gianfranco. Perché chiunque può produrre un dolcetto di quella foggia e commercializzarlo con il nome che vuole senza incorrere nelle ira della legge.

Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell'Unione Europea, l'organo chiamato a garantire il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione dei trattati fondativi dell'Ue stessa. Ebbene, qualche giorno fa i giudici del Lussemburgo hanno stabilito che il «marchio tridimensionale rappresentante la forma di una tavoletta di cioccolato a quattro barre trapezoidali allineate su una base rettangolare» non è universalmente riconoscibile. E quindi ha respinto la richiesta della Nestlè, la multinazionale che produce il noto snack, di proteggere il marchio a livello europeo. KitKat è stato infatti «inimitabile» in Europa a partire dal 2006. Già un anno dopo però a questa protezione si era opposta la concorrente Cadbury-Schweppes (oggi Mondelez), che pur non avendone titolo in quanto soggetto non danneggiato, ha trascinato la Nestlè in tribunale aprendo la vertenza che va avanti fino a oggi.

La Nestlè, pur avendo una potenza di fuoco non indifferente, non è riuscita a convincere Melchior Wathelet, l'avvocato generale della Corte di giustizia dell'Unione Europea del fatto che la forma del KitKat sia sufficientemente nota e riconoscibile in tutti i principali paesi dell'Unione Europea. Non lo sarebbe infatti in Belgio, in Irlanda, in Grecia, in Portogallo e nello stesso Lussemburgo. Chissà, forse il signor Wathelet ha condotto la sua indagine scendendo al bar dell'eurotribunale e chiedendo un KitKat. Qualcuno gli ha risposto dall'altra parte del bancone: cosa? E la faccenda è finita là. Ora sulla questione si dovrà esprimere l'Euipo, l'ufficio dell'Ue per la proprietà intellettuale, ma di solito il parere negativo della Corte di giustizia non è un buon viatico per ottenere la tutela del design.

La questione è certamente appassionante al di là della vostra passione per le merendine supercaloriche. Non siamo infatti tanto preoccupati per la sorte del KitKat, che i consumatori continueranno probabilmente a preferire a qualsiasi concorrente da discount, né per la Nestlè, che non è certo un ente caritatevole. Ma perché squaderna la questione della proprietà intellettuale del design dei cibi industriali. Fino a che punto, infatti, la forma di un prodotto può essere imitato? Restando agli snack al cioccolato il Toblerone, prodotto proprio dall'anti-Nestlè Mendelez, è riuscito a guadagnarsi la tutela europea e questo vuol dire che non troverete mai un Cioccobarrone della stessa forma a carrarmato sugli scaffali del super.

Ma molti altri prodotti industriali stranoti sono imitati in maniera smaccata senza che nessuno faccia nulla. I biscotti Oreo prodotti un tempo dalla Nabisco e ora dalla inesorabile Mondelez, due dischetti di frolla dal provocantissimo colore nero con al centro un ripieno alla vaniglia, hanno molti imitatori spesso tra i private label delle varie catene della grande distribuzione, che scimmiottano anche il nome (Roleo, Neo). Molti copiati anche i Ringo (un biscotto al cioccolato e uno alla vaniglia e al centro sempre una cremina bianca e appiccicosa), il Cornetto Algida padre di tutti i coni confezionati, l'immancabile Nutella (mai provati la Nugtella o la Nocilla?), i biscotti Pan di Stelle.

Campionessa di imitazioni è naturalmente la Coca-Cola: non c'è supermercato che non proponga la sua versione di bevanda alla cola utilizzando nella confezione il rosso che in tutto il mondo è associato alla bevanda prodotta dalla multinazionale di Atlanta, dove peraltro questi tentativi sono considerati più una forma di omaggio che di vera contraffazione.

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