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L'America verso la terza guerra d'Irak

Il Pentagono pronto a raccomandare a Obama l'invio di truppe di terra per l'assalto a Mosul

L'America verso la terza guerra d'Irak

Barack Obama non si è mai dimostrato disponibile, ma il Pentagono insiste: potrebbe essere vicina l'ora del ritorno degli stivali dei soldati degli Stati Uniti sul suolo iracheno. I generali americani stanno raccogliendo tutte le informazioni disponibili sullo stato delle difese di Mosul, la grande città del nord dell'Iraq caduta otto mesi fa nelle mani dell'autoproclamato Stato Islamico in vista di un attacco nel prossimo mese di aprile. L'azione dovrebbe essere affidata a truppe irachene, ma queste «potrebbero aver bisogno dell'aiuto americano per individuare i bersagli militari da colpire», ha spiegato alla Cnn una fonte del Pentagono coperta da anonimato, che ha affermato che le difese di Mosul vengono costantemente rafforzate dagli jihadisti. Sembra insomma probabile che il Pentagono arriverà a raccomandare alla Casa Bianca l'impiego di truppe sul campo.

Mentre si attende di conoscere cosa deciderà Obama, non cala il livello di attenzione per il rischio terrorismo in Europa. Il diffondersi di voci su un certo numero di defezioni tra i foreign fighters partiti per la «guerra santa» in Iraq e in Siria solleva interrogativi. Si tratta di autentiche defezioni o di trucchi per rimpatriare e commettere attentati in Europa? Forse tutti e due. Certamente è inquietante apprendere (da fonti di attivisti anti-Isis nella città siriana di Raqqa, che del cosiddetto Stato Islamico è la «capitale») che sarebbe stato creato un «battaglione Anwar Awlaki» con militanti che parlano inglese, intitolato al leader qaidista yemenita-americano ucciso due anni fa dai droni di Obama, il cui compito sarebbe quello di facilitare, anche diffondendo false notizie di defezioni come già è accaduto per esempio in Gran Bretagna, il rientro dei foreign fighters per trasformarli in kamikaze nelle nostre città. Il dubbio che parte delle defezioni dei jihadisti che erano partiti baldanzosamente dall'Europa occidentale siano false appare dunque fondato.

D'altra parte sul giornale tedesco Süddeutsche Zeitung si possono leggere gli agghiaccianti resoconti di jihadisti rientrati in Germania dopo periodi trascorsi nei ranghi dell'Isis in Siria e Iraq. Un quinto dei circa 200 «tedeschi» rimpatriati starebbe ora collaborando coi servizi segreti di Berlino: il clima di paura e sospetto e la spietatezza che contraddistingue le milizie jihadiste avrebbero loro aperto gli occhi. Uno dei testimoni ha raccontato di essere stato rinchiuso in una cella con un cadavere decapitato perché si era rifiutato di consegnare il suo passaporto. Chi è sospettato di spionaggio viene torturato, quindi ucciso a colpi di arma da fuoco o decapitato. Uno dei jihadisti pentiti ha raccontato di un nuovo arrivato giustiziato perché aveva nascosto il suo telefono cellulare. Molti vengono sottoposti a brutali prove di coraggio, come uccidere innocenti solo per dimostrare di essere pronti a eseguire qualunque ordine.

Tutto questo mentre El Paìs pubblica informazioni della polizia spagnola che confermano i peggiori timori sull'infiltrazione di jihadisti dell'Isis tra i clandestini che raggiungono l'Europa a vordo dei barconi.

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