L'appunto

I tormenti di Renzi. Non è più lui a dettare l'agenda

La macchina della comunicazione renziana raccontava di un premier inarrestabile, Diciotto mesi dopo, è vittima di se stesso

I tormenti di Renzi. Non è più lui a dettare l'agenda

C'era una volta il cronoprogramma. O, per gli amanti del genere, lo storytelling . Quella versione delle cose come sarebbero dovute andare o come sarebbe stato bene che andassero, al netto di un Matteo Renzi che aveva appena preso le redini di Palazzo Chigi e di un Enrico Letta ancora piuttosto stordito dal tu quoque . Lo scenario veicolato dall'implacabile macchina della comunicazione renziana raccontava di un premier inarrestabile, pronto a decidere nel dettaglio ogni passaggio delle riforme dei prossimi dieci, forse venti anni. Invece, passati a malapena diciotto mesi, è proprio lui, Renzi, ad essere vittima della sua stessa agenda.

È questo, infatti, il vero cambio di passo dell'ultimo anno. Un premier che ieri era il giovane sindaco di Firenze, simbolo della rottamazione della classe politica italiana, quella del Pd in particolare, e che un anno dopo si trova costretto ad inseguire De Luca o Marino. La distanza è abissale. Anni luce separano il giovane Renzi da Vincenzo De Luca, candidato «per forza» a governatore della Campania, e Ignazio Marino, sindaco sulle barricate di una Roma ad un passo dal commissariamento per mafia. E qui sta il punto di caduta di un Renzi che per la prima volta non è più in grado di dettare l'agenda ma è costretto ad inseguirla. Perché il leader del Pd non solo non è riuscito ad opporsi alle primarie che in Campania hanno portato ad uno scontato scontro in nome della legge Severino, ma pure a Roma non ha saputo rintuzzare il braccio di ferro che sta ormai rischiando di far saltare in aria il Campidoglio.

La verità è che se a febbraio dello scorso anno Renzi dettava l'agenda ora a malapena la insegue. Ricordate la memorabile conferenza stampa in cui aveva annunciato il suo mitico cronoprogramma ? Era ancora il 2014. «A febbraio le riforme, a marzo il lavoro, ad aprile la pubblica amministrazione, a maggio il fisco», annunciò l'allora neopremier davanti a decine di slides che certificavano quella che Renzi definì «la piattaforma per arrivare al 2018». Inutile dire che del calendario renziano è rimasto davvero poco. E che il 2018 è ancora lontano.

E che oggi - neanche un anno e mezzo dopo - è Renzi a subire l'agenda che dettano altri. L'Europa, per esempio, che è concentrata soprattutto sulla crisi della Grecia e sull'emergenza immigrazione, due fronti su cui il leader del Pd gioca in difesa ormai da giorni. Ma pure in casa nostra la musica non cambia di molto, con il premier costretto ad inseguire la minoranza dem su tutti i temi sensibili. La riforma sulla scuola è il fronte più delicato e si porta dietro uno strappo che sta ormai lacerando l'intera sinistra.

È uno dei

tanti fronti - quello delle inchieste che affliggono l'Ncd è il più pesante per l'elettorato del Pd - su cui Renzi gioca in difesa. A differenza di ieri, quando era proprio lui - Renzi - a dare le carte. E fare l'agenda.

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