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L'Europarlamento alla guerra finale sul copyright

La riforma sostenuta da media e artisti per difendere il lavoro. Contrarie le grandi piattaforme

L'Europarlamento alla guerra finale sul copyright

Proteggere il lavoro intellettuale. È l'ora della verità per la riforma europea del diritto. Oggi a Strasburgo il Parlamento in plenaria affronta la questione controversa del copyright. Il testo del provvedimento, uscito dalla trattativa con la Commissione Ue dopo la prima approvazione dello scorso settembre, si propone di adattare la legge europea risalente al 2001 alle nuove realtà dell'era digitale.

La riforma è sostenuta dai media e dagli artisti che chiedono una «remunerazione equa» delle piattaforme che usano i loro contenuti. Ad opporsi con forza sono invece Google e Facebook. Cardine della nuova disciplina è l'obbligo per le grandi piattaforme «distributrici» di contenuti di mettersi d'accordo con gli editori o i giornalisti free lance, i fotografi e i videomaker, cioè i soggetti produttori di contenuti. Per stabilire un compenso su quei materiali che oggi sono usati da Google e Fb praticamente senza una remunerazione. Il provvedimento prevede anche che un editore possa decidere di non mettere a disposizione i suoi materiali, nemmeno a fronte di un compenso. In tal caso le piattaforme dovranno controllare - come fa già Youtube con i video - per verificare la presenza o meno di un copyright per segnalare o bloccare la diffusione dei contenuti.

L'articolo 13 - che obbliga le grandi piattaforme a installare sistemi di controllo per bloccare la condivisione di materiali coperti da copyright - è stato il più criticato. La norma, comunque, prevede l'esclusione dagli obblighi della legge sia organismi come Wikipedia (che diffondono senza scopo di lucro), sia start up e piccole imprese. Ma c'è chi teme che gli utenti finali non possano più condividere le informazioni e scambiarle online proprio perché le grandi piattaforme, per paura di essere costrette a pagare, finiranno per applicare politiche tecnicamente molto restrittive. I sostenitori della legge però controbattono che gli utenti finali sono salvaguardati. Anche perché - sostengono - gli editori avranno tutta la convenienza a far diffondere le loro notizie ottenendo in cambio interessanti revenue. Wikipedia Italia intanto per protesta ha oscurato il suo sito italiano, come aveva già fatto nei giorni scorsi in Germania e in altri Paesi. E ha invitato gli utenti a contattare un proprio rappresentante nel Parlamento europeo per fargli sapere di non essere «disposto ad appoggiare una riforma che contiene l'articolo 11» (che introduce la cosiddetta link tax) e «l'articolo 13». L'europarlamentare Silvia Costa del Pd sostiene la riforma in quanto «è una campagna di civiltà e di democrazia, perché l' ecosistema digitale non diventi un far west» ed «è inammissibile che le grandi piattaforme facciano enormi profitti sfruttando i contenuti creativi e giornalistici per i quali non riconoscono i diritti di chi li ha prodotti». Così come il parlamentare di Forza Italia Maurizio Gasparri, schierato dalla parte del sì: «La riforma tutela la proprietà intellettuale, la creatività, i diritti degli autori di musica, articoli, contenuti culturali di ogni genere». I 5 Stelle esprimono invece contrarietà.

È invece un coro unanime per il sì quello degli autori. Da Giulio Rapetti Mogol, a Ennio Morricone, Nicola Piovani, Paolo Conte, l'appello agli europarlamentari è «approvate la direttiva».

«I giganti del web rappresentano oggi i principali punti di accesso alle opere dei creatori, generando enormi guadagni per loro ma offrendo un ritorno quasi inesistente agli autori» dicono dalla Siae.

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