Quirinale 2015

L'identikit tra slogan e frasi fatte. Il presidente ideale? Non esiste

Tutti i profili tracciati dai politici finiscono per annullarsi a vicenda

L'identikit tra slogan e frasi fatte. Il presidente ideale? Non esiste

RomaLa funzione sviluppa l'organo. Questo è il poco che si può tener presente, assieme a qualche traccia di memoria storica, nell'identikit più gettonato del momento. Quello del presidente-Frankenstein: cuore di Pertini, testa di Einaudi, regalità di Napolitano. E invece i commedianti della pochade che ci ha mantenuto allegri nelle tediose settimane di ricerca del Nulla si avviano all'epilogo con gli ultimi accorati profili del non-nome giusto per il Colle.

Già perché ai fautori dell'ovvio («un grande arbitro», ha detto Renzi con l'aria di saperla lunga, ma citava solo gli auspici della Costituzione), nel disarmante Paese, si sono presto sovrapposti i sostenitori del «Chiunque-purché-non». Primo tra tutti gli interdittori Pippo Civati, cui basta che il prescelto abbia in uggia il Nazareno. Un ateo convinto? No, intendeva un anti-Renzi e anti-Berlusconi. Vale a dire, un marziano eletto dalla minoranza parlamentare e, dunque, una sciocchezza sesquipedale. Subissato dai fischi, il poveretto ieri si è corretto in positivo, ricordando che ha un candidato nel cuore ed è «Prodemos» (crasi da Prodi + Podemos , la vagheggiata nuova formazione di sinistra): un'ulteriore sciocchezza, in quanto se fosse Prodi, sarebbe in nome di una pacificazione nazionale non aliena dal contributo di Forza Italia.

Altro papà di «NN» è Corradino Mineo, per il quale Giuliano Amato è soltanto il «vicesegretario di Craxi» e, naturalmente, «io vorrei altro». Sullo stesso piano rintuzza il capogruppo azzurro Paolo Romani: il nuovo presidente dev'essere «di garanzia», sostiene, e il requisito sarebbe incompatibile con l'appartenenza al Pd. Anche perché, precisa Giovanni Toti, «serve un presidente condiviso» e «non stiamo mica facendo le primarie del Pd». Ma qui la faccenda si complica di molto, visto che è il Pd a mischiare e dare le carte. Rosy Bindi, ancora in gramaglie per «il sabotaggio di Prodi», non arrischia a metterlo di nuovo sulla graticola: accetta un nome da Renzi e Berlusconi ma, avverte, «a me interessa che abbia il profilo di autorevolezza, autonomia, indipendenza». Tornando perciò all'ovvio identikit previsto dai Padri costituenti, che sta racchiuso più nella funzione che in un candidato. Tutti, nella loro scalata politica, sono stati più o meno autorevoli, poco o punto autonomi e (di certo) assai dipendenti. Il problema è che non lo siano dalle finestre del Colle. Alla legge non scritta si deve la mutazione genetica cui abbiamo assistito più volte, che ha trasformato il Pertini impopolare ed emarginato nel Nonno più amato d'Italia; l'austero Ciampi in Mr. Simpaty , lo sbiadito Napolitano in King George , l'impalpabile Cossiga nel Picconatore Implacabile.

Maggior senso hanno allora allarmi come quello della Santanchè a «far presto perché non possiamo trasformare la scelta del capo dello Stato in un teatrino infinito e indecoroso». Oppure la raccomandazione di Rotondi a Renzi, affinché «non dia un nome secco perché ci resta secco pure il governo». O la speranza che si tratti di una donna («segnale di modernità», sottolineava il dipietrista Formisano), o infine la legittima richiesta di parte (Gasparri) che si tratti di un moderato per riequilibrare il peso delle altre cariche, tutte appannaggio della sinistra. Il presidente «di tutti», così come il «nome perfetto», specie di questi tempi, non esiste affatto. Il compito sarà quello di diventarlo, a chiunque tocchi. Tranne se si dovesse avverare l'auspicio di Vendola: «Un nome per l'Italia che soffre».

In quel caso, siamo già pronti.

Commenti