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Lingua, feste e colonie: la nuova legge di Israele e l'ira del mondo arabo

Sancito ufficialmente lo Stato-nazione dei soli ebrei, la minoranza grida all'apartheid

Lingua, feste e colonie: la nuova legge di Israele e l'ira del mondo arabo

Roberto Fabbri

Il Parlamento di Gerusalemme approva a stretta maggioranza (62 voti contro 55) una legge che definisce Israele «Stato-nazione del popolo ebraico» e scoppia la polemica sulle accuse di razzismo e di apartheid nei confronti della minoranza araba. Non solo gli arabo-israeliani (i discendenti della popolazione araba che viveva sull'attuale territorio israeliano al momento della fondazione dello Stato nel 1948 e che non ha lasciato il Paese: sono oggi circa il 17,5% della popolazione) ma anche i palestinesi (discendenti di coloro che invece lasciarono il Paese e che vivono da profughi in Cisgiordania, a Gaza e in numerosi Paesi arabi) protestano e sostengono che in questo modo la prospettiva di una pacificazione con la creazione di due Stati sarebbe resa di fatto impossibile.

La legge sullo Stato-nazione israeliano fa esplicito riferimento al popolo ebraico e al suo «diritto naturale culturale, religioso, storico» da esercitare sul territorio, nonché a quello «all'autodeterminazione». Si stabilisce inoltre che la lingua ebraica è la sola lingua ufficiale dello Stato, mentre a quella araba - che finora aveva lo stesso status - viene attribuito uno «status speciale». Inoltre, Gerusalemme «unita» (inclusa quindi la parte orientale conquistata alla Giordania con la guerra del 1967, e annessa ufficialmente nel 1981) viene proclamata capitale nazionale.

Si ufficializza anche «l'interesse nazionale» nei confronti della «promozione e del consolidamento» degli insediamenti ebraici nella Cisgiordania occupata. Una formulazione questa che tiene conto delle perplessità espresse dal presidente della Repubblica Reuven Rivlin rispetto a un articolo della bozza originale che ipotizzava la creazione di località «riservate alla comunità ebraica». Rimarrebbe invece una riforma delle feste nazionali che le limita a quelle ebraiche.

Il premier Benjamin Netanyahu, che ha fortemente voluto ciò che definisce «aver sancito per legge i principi basilari della nostra esistenza» e «un momento decisivo della storia di Israele e del sionismo», si gode la sua vittoria politica, conseguita contando sul sostegno - mai forte ed esplicito come ora da decenni a questa parte - della Casa Bianca. Ma gli arabi gridano alla legalizzazione dell'apartheid e alla volontà di discriminazione. «La democrazia è morta», denuncia Ayman Odeh, capo della Lista araba unita alla Knesset, dove copie della nuova legge sono state strappate polemicamente, mentre per il ministro degli Esteri dell'Autorità nazionale palestinese Riad al-Malki «l'immagine di Israele come unica democrazia del Medio Oriente risulta demolita da questa legge razzista, che fermerà per sempre qualsiasi iniziativa verso la pace, la sicurezza e la stabilità nella regione».

Sembra dargli ragione Federica Mogherini, che a nome dell'Unione Europea esprime «preoccupazione» e ricorda che Bruxelles ritiene che la soluzione dei due Stati «sia l'unica strada percorribile e che qualsiasi passo che possa ulteriormente complicare o impedire questa soluzione dal diventare realtà dovrebbe essere evitato».

Tra le voci più dure verso la nuova legge dello Stato-nazione israeliano c'è quella di Ankara: il ministero degli Esteri turco la bolla come «il prodotto di una mentalità antiquata e discriminatoria» e «nulla per la comunità internazionale».

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