«Resistete, stiamo arrivando» è il messaggio di Joe Biden ai famigliari degli ostaggi, che ieri hanno cominciato la marcia che da Tel Aviv arriverà sabato a Gerusalemme per chiedere la liberazione dei rapiti e un incontro con il Gabinetto di guerra israeliano. «Credo che il rilascio avverrà», ha detto il presidente americano, poco prima che centinaia di migliaia di americani marciassero anche loro a Washington per manifestare sostegno a Israele e chiedere libertà per gli ostaggi. Ronen Bar, capo dello Shin Bet, l'intelligence interna israeliana, è stato in Egitto per incontrare ufficiali di alto livello e promuovere l'intesa, mentre i vertici di Hamas sono in Qatar per chiudere. «Una svolta potrebbe arrivare in 48-72 ore», confermava ieri sera una fonte israeliana alla Abc, mentre i famigliari degli ostaggi imploravano il governo israeliano: «Non fermate l'accordo».
C'è ottimismo e al tempo stesso cautela, per il grande obiettivo, il ritorno di una settantina di rapiti a casa, in Israele. «Se ci sarà qualcosa di concreto, lo diremo», ha tagliato corto il primo ministro Benjamin Netanyahu. Ma una cosa è chiara: «La guerra non si fermerà», dice Benny Gantz, membro del governo di emergenza. Anzi, è stata proprio la pressione prodotta dall'offensiva di terra a Gaza - spiega il ministro della Difesa Gallant - ad accrescere le chance di rilascio.
Il conflitto continuerà, anche se i negoziati si chiuderanno con successo, e mentre gli Stati Uniti continuano a chiedere a Israele di ampliare le tregue umanitarie e di interrompere gli scontri a fuoco negli ospedali. Per raggiungere l'intesa sugli ostaggi, torna in gioco la Croce Rossa internazionale. Dopo aver aiutato il ritorno degli unici 4 rapiti rientrati in Israele, il Comitato internazionale della Croce rossa (Circ) sta lavorando per avere certezze che gli ostaggi siano vivi. «Non ci sono prove» che sia così, spiega il ministro israeliano degli Esteri Eli Cohen da Ginevra, dove ha incontrato i vertici della Croce rossa, con i parenti degli ostaggi.
In cambio del rilascio dei rapiti, donne e bambini, Israele libererebbe un gruppo di palestinesi detenuti da anni nelle carceri israeliane, sempre donne e giovani. Lo Stato ebraico, secondo gli islamisti, ha chiesto il rilascio di almeno 100 israeliani. I terroristi rispondono che al massimo si arriverà a 70, e chiedono in cambio una tregua di 5 giorni, mentre dal Libano continuano a minacciare: «La battaglia è ancora all'inizio», tuona Hamas. Per chiudere l'intesa serve la prova che gli ostaggi siano vivi, specie dopo che ieri è arrivata la notizia della morte della soldata israeliana Noa Marciano, sequestrata anche lei il 7 ottobre. Per Hamas è deceduta sotto i bombardamenti israeliani. Per Israele, quel caso prova che prima di siglare un accordo sugli ostaggi, serve essere certi che non siano già stati uccisi. «Abbiamo insistito per vederli», dicono i vertici della Croce rossa, che se non potranno incontrare i rapiti, chiedono almeno garanzie che possano ricevere medicine e scambiare messaggi con le famiglie.
Trattative intense, mentre l'offensiva nella Striscia prosegue massiccia, come il lancio di razzi su Israele. Un missile, da Gaza a Tel Aviv, ha ferito gravemente un israeliano. Un altro è stato lanciato dagli Houthi dello Yemen, che minacciano le navi israeliane nel Mar Rosso. Ma nella Striscia l'azione militare d'Israele galoppa. «Controlliamo tutte le istituzioni governative di Hamas», dice l'Esercito, che ha occupato «parlamento», «governo» e centrale della «polizia» di Gaza, ha assunto il controllo del campo profughi di Shati, «cuore del terrorismo», e completato lo sgombero dell'ospedale Al-Quds.
I successi militari israeliani sono accompagnati dall'orrore per i civili palestinesi uccisi, quasi 11.500, specie ora che la battaglia si è spostata sugli ospedali, paravento delle attività di Hamas. Il direttore di Al Shifa annuncia una fosse comune scavata per seppellire 179 corpi e sul tema torna lo scontro con l'Onu. Il segretario generale Guterres si dice «profondamente turbato» per «il disastro umanitario». Il ministro israeliano Cohen ribadisce che «non merita di guidare l'Onu».
Anche se Hamas nega, gli Stati Uniti ammettono che le strutture sanitarie sono usate come covi del terrore e Al Shifa come «centro di comando»: un «crimine di guerra». Sostengono l'intervento di una terza parte indipendente per evacuare gli ospedali. E nonostante Israele invii 37 incubatrici a Gaza dopo la morte di 7 neonati, gli americani insistono: «Gli ospedali vanno protetti».
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