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L'intifada dei palestinesi diventa guerra di religione

La violenza senza precedenti della rivolta si spiega con la regia dell'estremismo islamico

Militari israeliani curano persone rimaste ferite durante gli scontri vicino a Ramallah
Militari israeliani curano persone rimaste ferite durante gli scontri vicino a Ramallah

Sull'onda di una bugia, ovvero che la Moschea di Al Aqsa sia in pericolo e che Israele voglia distruggere lo status quo, cresce la violenza in Israele. È una bugia che rende alla leadership di Fatah: il mondo islamico tutto deve volgersi, nonostante la grande confusione imperversante in Siria, verso lo stanco conflitto israelo palestinese; ma è anche una bugia pericolosa, che accende la miccia del fanatismo religioso e porta lo scontro sempre più lontano da ogni soluzione politica.

Gli accoltellamenti, dopo che in una settimana sono stati colpiti, da lame e pietre, fra morti e feriti, decine di persone, sono stati tre: a Gerusalemme è stato ferito un ragazzo di 14 anni, ad Afula, nel nord, ha colpito un'araba israeliana, a Kyriat Arba è stato assalito un soldato di guardia. Un giovane squilibrato ebreo, ha ferito a sua volta, nel città di Dimona, tre arabi in una sua pazza vendetta che è stata subito condannata da Netanyahu. E sul bordo di Gaza, mentre Ismail Haniyeh dichiarava la partecipazione di Hamas agli scontri, l'esercito ha ucciso sei palestinesi mentre, con una manifestazione di 400, cercavano di entrare in Israele. Abu Mazen cerca di raffreddare l'aria, consapevole di quanto un'esplosione possa danneggiare anche la sua posizione, e Netanyahu proibisce ai ministri e ai membri del Parlamento di salire alla Spianata delle Moschee. Sembra impossibile quanto sangue la storia possa versare in questa piccola bellissima città. La gente per strada ora sa che chiunque può nascondere un coltello. Di nuovo torna il silenzio per le strade dei momenti in cui, con la seconda intifada, i terroristi suicidi svuotavano gli autobus e i caffè. Tuttavia oggi come ieri i cittadini di Gerusalemme sono decisi a non mollare. Ogni volta che un terrorista attacca, anche la gente si fa sotto. Il sindaco di Gerusalemme ha detto «chi ha un'arma se la porti dietro». È una confessione di impotenza, e questo dà la misura dell'angoscia nella capitale. Alcune famiglie si tengono a casa i bambini; chi deve andare a fare la spesa o a lavorare si affretta verso l'obiettivo. In auto, le pietre sono assassine, e chi viaggia lo sa. Analizzare bene questa situazione per batterla è indispensabile. Si tratta di decidere se è gestibile politicamente, oppure agire con forza come fece Ariel Sharon con l'operazione «Scudo di Difesa». Al momento il governo spera che le cose si acquietino. Netanyahu mantiene la mano tesa verso colloqui con i palestinesi; apre a sinistra per un governo di unità nazionale. Alla sua destra, si chiede un pugno più duro. Il fatto è che l'incitamento palestinese fa appello a sommi principi religiosi, sui quali non si discute, si invoca Allah e si combatte. È la fede in pericolo, è la fede che deve vincere, proprio come per Hamas, o per l'Isis, o per l'Iran degli Ayatollah. Jamal Muhaisen del Comitato Centrale di Fatah scrive su Al hayat al Jadida «la presenza dei settler è illegale e quindi ogni azione contro di loro è legittima» e Mahmoud Ismail del Comitato Esecutivo dell'Olp scrive che l'uccisione di Naama e Eitam Henkin di fronte ai loro quattri bambini «è un dovere nazionale». Rispetto ai tempi dell'Intifada è diverso il profilo sociale del terrorista: oggi egli non appartiene necessariamente a un'organizzazione come Hamas o la Jihad islamica o a derivati di Fatah. Il nuovo terrorista ha fra i 17 e 23 anni ed è semplicemente convinto che gli ebrei abbiano deciso di distruggere o di occupare la Moschea di Al Aqsa. Abu Mazen fomentando questo punto di vista ha pompato l'ampia ala ultrareligiosa islamista eccitata anche dal richiamo di ciò che accade nel Medio Oriente circostante. Questo fa sì che ogni appello a soluzione in cui ci si incontra, si tratta, si prevedono due stati per due popoli, sia ben pallido di fronte all'imperativo di sconfiggere i nemici dell'Islam. L'affermazione fantasiosa che gli ebrei salgano in frotte alla Spianata (l'anno passato in realtà contro quattro milioni di ingressi islamici ce ne sono stati 200mila di turisti cristiani e 12mila di ebrei) per impossessarsene e che si debba difenderlo è una tromba di guerra per tutto il mondo islamico e una fonte di intrattabile aggressività per i palestinesi. D'altra parte, il fatto che i giovani implicati negli assassinii non vengano armati con tritolo o altri potenti mezzi tipici di un'organizzazione, lascia sperare nella loro riassorbibilità.

Le prossime ore diranno il vero.

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