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"L'Italia voleva usare Amri come spia"

La ricostruzione del quotidiano Die Welt. Gabrielli: "Del tutto falso e inventato"

"L'Italia voleva usare Amri come spia"

Il «grazie Italia» pronunciato dalla Merkel e dall'establishment tedesco dopo l'uccisione di Anis Amri, il killer di Berlino, sembra ormai un ricordo sbiadito nonostante siano trascorsi appena 30 giorni dall'epilogo di Sesto San Giovanni. Ieri il domenicale del quotidiano Die Welt ha pubblicato un'inchiesta secondo cui l'Italia avrebbe potuto espellere il terrorista responsabile della strage ai mercatini di Breitscheidplatz del 19 dicembre già nel 2011, ma che non lo fece perché tentò di infiltrarlo in ambienti vicini al terrorismo di matrice islamica. Il quotidiano tedesco sostiene inoltre che l'Italia avrebbe dovuto allontanare il terrorista che si proclamava minorenne dopo che Tunisi lo aveva riconosciuto come proprio cittadino, fornendo la data di nascita. Senza troppi giri di parole il Welt arriva a scrivere che «le dodici persone uccise potrebbero essere oggi ancora in vita se l'Italia avesse agito in modo responsabile». Il dossier parla di Amri come soggetto capace di prendersi gioco con facilità disarmante dei nostri 007. Sulla questione viene interrogato anche il console tunisino a Palermo, Ben Mansour, che nell'articolo spiega di non sapere bene come siano andate le cose, «ma credo che ci sia stato un accordo tra autorità italiane e del mio Paese». In attesa di una dichiarazione ufficiale della Cancelleria di Berlino, è il capo della polizia italiana, Franco Gabrielli, a intervenire definendo la «ricostruzione falsa e totalmente inventata. Le accuse sono infamanti e gli autori dell'articolo saranno chiamati a rendere conto innanzi alle corti di giustizia competenti». Il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, in risposta al Welt, ha ricostruito le tappe della vicenda ricordando che la richiesta di riconoscimento e identificazione di Amri, per procedere alla sua espulsione, era stata inoltrata alle autorità tunisine dalla questura di Agrigento nell'ottobre 2014, mentre il giovane si trovava in carcere. Da Tunisi non arrivò risposta, e al termine della detenzione Amri venne affidato al Cie (centro di identificazione ed espulsione) di Caltanissetta che rinnovò la richiesta all'allora ministro degli Esteri Mongi Hamdi. La risposta arrivò dopo i 30 giorni previsti dalla legge come tempo limite per il trattenimento presso il Cie di un soggetto che ha appena finito di scontare un periodo di detenzione in carcere. Amri era quindi già stato rilasciato.

A difesa del lavoro dell'intelligence italiana è intervenuto il capo della polizia federale Dieter Romann che ha sottolineato «una collaborazione scarsa e ambigua fornita dalla Tunisia nella vicenda Amri», chiedendo «maggiori poteri» al governo tedesco in fatto di «espulsioni di soggetti sospetti».

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