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Londra perde un posto nel mondo. La Britannia non sarà più «cool»?

Il Regno Unito da quinta a sesta potenza, superata dalla Francia Il paragone impietoso con il '98 di Blair. E un 2018 di incognite

Londra perde un posto nel mondo. La Britannia non sarà più «cool»?

Ricordate Tony Blair? Gli Oasis? La ruota di Londra e la Jubilee Line inaugurate per il Millennio? Ricordate il «Gherkin» che gratta il cielo di Londra e plasma lo skyline della capitale inglese, segnando gli anni più ottimisti, proficui e creativi dell'era post-thatcheriana? Dimenticate tutto. Perché quell'ottimismo, quella vivacità politica, economica e culturale vacillano ora sotto il peso della Brexit. Il Regno Unito retrocede dalla quinta alla sesta posizione fra le economie più forti al mondo, battuto dalla Francia di Emmanuel Macron, che aumenterà il divario l'anno prossimo (dati del Fondo Monetario Internazionale). La notizia vola via veloce mercoledì, durante la presentazione della Finanziaria che traghetterà il Paese nell'era post-Brexit: «La Gran Bretagna è la sesta economia più forte del mondo», dice il ministro delle Finanze Philip Hammond ricordando quanto sia ancora esteso e solido il potere economico del Regno Unito. Ma il dato è ben più significato di una frettolosa dichiarazione. Londra fa un passo indietro, il Paese crescerà dell'1,5% quest'anno (si prevedeva fosse il 2%) e le previsioni dicono che sarà l'1,4% l'anno prossimo. Per qualcuno è il segnale che il 2018 sarà l'anno in cui la stella della Gran Bretagna tramonterà definitivamente. Per qualcun altro, invece, è solo la prova che la recessione non è arrivata, contro le più fosche previsioni.

Eppure qualcosa sta cambiando nella testa degli inglesi, e non solo nella loro. Il destino del Regno Unito sarà deciso nelle prossime settimane, quando si capirà che piega prenderanno le trattative con l'Europa. E la mente va a vent'anni fa. Il 1998 non fu solo l'anno dell'ingresso del New Labour a Downing Street. Fu l'inizio dell'era della «Cool Britannia». Blair prometteva: il Paese «sarà imbattibile, con la testa e col cuore». Ora, due decenni dopo, gli inglesi tremano di fronte alla prospettiva che il 2018 sia l'anno dell'un-cool Britannia, il tempo traumatico della retrocessione e del pessimismo, il momento in cui il Regno Unito potrebbe perdere definitivamente il suo posto di leader nel mondo. Più che una situazione reale, il nuovo scenario è uno stato mentale, psicologico. Al quale certo contribuisce l'incertezza sulle trattative in corso con l'Unione Europea, l'immagine della leader Theresa May erosa di fronte agli scivoloni degli ultimi mesi, totalmente in contrasto con l'ascesa del ruspante Tony Blair a fine anni Novanta. Poi, certo, ci sono gli altri indicatori deprimenti che si sommano alla notizia della retrocessione: nel secondo quadrimestre di quest'anno l'economia inglese è cresciuta della metà rispetto a quella dell'Eurozona ed è stata la più lenta delle sette economie più potenti. Anche gli standard di vita sono in picchiata e rischiano di diventare i peggiori degli ultimi sessant'anni.

Eppure il collasso che molti avevano previsto non c'è stato. L'economia inciampa ma non crolla. Non c'è stata nessuna recessione, come molti avevano previsto. Gli investimenti sono cresciuti e il tasso di occupazione è il più alto di sempre. Come ha ricordato il Cancelliere Hammond in Aula: «Londra è il centro numero uno dei servizi finanziari internazionali. Ha le migliori aziende del mondo e un posto di vertice tra le industrie tech e digitali che saranno la spina dorsale dell'economia globale del futuro. Chi sottovaluta la Gran Bretagna, lo fa a proprio rischio». Non è ancora l'Apocalisse, insomma. «Lo choc immediato e acuto in realtà non si è ancora materializzato», dice Amit Kara, capo delle previsioni macroeconomiche del Niesr, l'istituto indipendente di ricerca economica con base a Londra. Ma il futuro è uno stato d'animo. La fiducia che arretra tra gli investitori stranieri nel Paese è un dato da considerare. «Oltre ai costi economici vanno considerati anche i costi delle opportunità perse, del business che decide di non investire nel Regno Unito», spiega il Conservatore Nicky Morgan a Politico.

Poi ci sono i simboli. Blair contro May. Il Gherkin contro lo scheletro della Grenfell Tower andata in fumo con l'orrore di 87 vite bruciate.

Il bivio tra un futuro ancora brillante e un domani decadente è anche uno stato mentale.

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