Brexit

La strategia di Bruxelles: piano franco-tedesco, senza Italia

Replica stizzita, ma via a trattative per limitare i danni

La strategia di Bruxelles: piano franco-tedesco, senza Italia

Roma - Il Regno Unito, a partire dai sostenitori della Brexit, non ha fretta di attuare il risultato del referendum sull'Ue. L'Europa sì. Il messaggio delle due principali istituzioni mandato ieri da Bruxelles a Londra è chiaro. Il presidente dell'esecutivo europeo Jean-Claude Juncker, Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo, Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo e Mark Rutte, presidente di turno del Consiglio dell'Ue hanno spiegato che adesso Londra ora non può tergiversare. «Ci aspettiamo che il governo del Regno Unito attui la decisione del suo popolo nel più breve tempo possibile, per quanto questo processo possa essere doloroso. Qualsiasi ritardo prolungherebbe inutilmente l'incertezza». Gli accordi del febbraio scorso tra Commissione e governo britannico sono carta straccia. Una posizione ferma che ha messo in imbarazzo paladini del Brexit come Boris Johnson, che ieri ha provato a prendere tempo.

Giusto il tempo di completare le procedure, durante il quale «il Regno Unito continuerà ad essere membro dell'Unione europea, con tutti i diritti e gli obblighi ivi connessi», poi inizia una fase nuova che i vertici Ue sintetizzano così. Il Regno unito d'ora in poi sarà un «partner stretto dell'Unione europea», ma anche un «paese terzo», con il quale si faranno accordi bilaterali che dovranno «rispecchiare gli interessi di entrambe le parti ed essere equilibrato in termini di diritti e obblighi». Meno europei della Norvegia o della Svizzera. Legati al vecchio continente da un accordo tipo quello con il Canada.

Presa di posizione dura, interpretata come un gesto di stizza dell'esecutivo europeo. C'è anche questo, ma non solo. I vertici dell'Ue e i leader dei Paesi membri sanno che adesso dovranno raccogliere la sfida ed evitare che altri - quando le fibrillazioni della finanza saranno terminate - siano tentati dall'imitare il Regno Unito. La versione ufficiale è che l'Ue «dei 27 Stati membri continuerà. L'Unione è il quadro di riferimento del nostro futuro politico». La realtà è che da ieri sono iniziati dei contatti al vertice per uscire dalla situazione difficile. E la soluzione non potrà che essere un rilancio della politica europea sui capitoli più critici. Quindi immigrazione, crescita, ma anche banche finanze pubbliche.

Qualche segnale dovrebbe arrivare da Berlino. Domenica si riuniranno i ministri degli esteri dei paesi fondatori. Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Olanda. Lunedì quando si incontreranno a Berlino la cancelliera tedesca Angela Merkel, il presidente francese Francois Hollande, il premier italiano Matteo Renzi e il presidente dell'Ue Donald Tusk.

Un ritorno all'Europa delle origini, che sembra solo simbolico. L'attesa è per un piano franco tedesco per rilanciare l'Unione. Lo ha detto chiaramente lo stesso Juncker, chiedendo «posizioni chiare dal motore franco-tedesco». L'Italia, non pervenuta.

Restiamo periferici, anche ora che un importante attore della politica Ue se ne va.

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