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L'ultima provocazione del sultano Erdogan: la grande basilica cristiana sarà moschea

Alla vigilia delle elezioni e sempre più nei guai con l'economia, adesso il presidente vuole trasformare Santa Sofia per recuperare il voto dei musulmani

L'ultima provocazione del sultano Erdogan: la grande basilica cristiana sarà moschea

Le mani di Recep Tayyip Erdogan su Santa Sofia, che da chiesa la vuole trasformare in moschea. Le imminenti elezioni amministrative in Turchia portano in grembo un annuncio che sa di sfida. La basilica di Santa Sofia, da tutti conosciuta come un capolavoro architettonico, simbolo della cristianità unita, costruita dall' imperatore Giustiniano nel 537 d.C. , è patrimonio culturale dell'Unesco ma Erdogan promette che «non sarà più un museo, il suo status cambierà, la chiameremo moschea».

Nel 2014 un semisconosciuto deputato indipendente della circoscrizione di Burdur, Hami Yildirim, avanzò una mozione al parlamento turco per la trasformazione in moschea. Una mossa che è parte del vecchio progetto dell'Akp, il partito di governo, di recuperare il consenso elettorale dei musulmani turchi, consegnando così a Erdogan un potere religioso infinito. Nel giugno del 2017 un'altra provocazione: la tv di Ankara consentì in diretta la lettura del Corano e la preghiera all'interno di Santa Sofia, alla presenza del capo Direzione degli Affari Religiosi e del premier. Uno schiaffo contro la natura di Santa Sofia come monumento universale.

Da tempo il ministero degli Esteri di Atene e il Patriarcato ortodosso avevano lanciato l'allarme alla comunità internazionale, in quanto «sfida inaccettabile per i sentimenti religiosi dei cristiani di tutto il mondo e per coloro che onorano il patrimonio dell'umanità».

Il Patriarcato si era detto anche contrario al baratto con l'apertura della Scuola teologica di Chalki. Sul tavolo resta il nodo che il dossier energetico e quello geopolitico abbiano superato nella percezione internazionale quello parimenti fondamentale identitario e religioso, con il rischio che il caso di Santa Sofia sia un pericoloso precedente di appropriazione indebita.

Uno scenario che si affianca alla criticità del sistema bancario turco, atteso da altre nubi: le banche turche infatti sarebbero ancora sotto pressione per non fornire liquidità e i fondi stranieri non possono commerciare perché non riescono a trovare controparti, riferiscono fonti interne. Infatti agli istituti il governo avrebbe imposto di non prestare denaro alle controparti straniere, circostanza però negata dal numero uno della Turkish Bank Association. La lira turca è stata la moneta con la seconda peggiore performance nel 2019, come era accaduto nelle settimane prima della fine di elezioni del giugno scorso che avevano rafforzato il controllo del potere di Erdogan anziché mettere in campo riforme finanziarie credibili.

Ma che c'entra Santa Sofia con l'economia? L'ipotesi è che, proprio per distrarre l'attenzione dall'aspetto finanziario, Erdogan insista da un lato nella sua battaglia religiosa, quindi con l'ennesima provocazione su Santa Sofia, e dall'altro con le pretese sul gas presente a Cipro, che sta diventando parte dell'accordo a tre (Grecia, Israele, Cipro) per il gasdotto Eastmed e condurre così altro gas fino in Salento.

Dal settembre scorso Erdogan, dopo aver diffuso il suo nuovo programma economico con una serie di ambiziosi obiettivi di recupero, ha di nuovo fatto marcia indietro, preferendo una strategia «grillina» fatta di bonus e prebende. L'obiettivo non dichiarato, ma reale, è minimizzare l'impatto della crisi sull'elettorato e lenire così la rabbia popolare, presente tra giovani e pmi, con ancora fresco il ricordo del sangue versato a Gezi Park.

E l'azione di forza su Santa Sofia è un'altra mossa che si inserisce proprio in questo filone.

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