Macron, missione sull'isola dell'inferno

I rivoltosi lo minacciano. Viaggio del presidente nella "colonia" per fermare la rivolta

Macron, missione sull'isola dell'inferno
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Traghettare un intero arcipelago fuori dal caos in meno di 24 ore. Venti ore abbondanti di viaggio per restare in Nuova Caledonia una giornata soltanto. Emmanuel Macron è partito ieri sera per il Pacifico. A sorpresa. Con lui, anche i ministri della Difesa e dell'Interno: per sostenere le forze dell'ordine, dare nuove direttive dopo il coprifuoco rivelatosi insufficiente a placare la rabbia dei rivoltosi arrivati nella capitale Numea (100 mila abitanti a 17mila km da Parigi) e provare infine a lanciare «una missione di dialogo e soprattutto di ricostruzione economica».

Paiono però lontanissime le immagini dell'accoglienza riservata al presidente francese l'estate scorsa sull'isola Territorio d'Oltremare: fiori, collane e bandiere sono un ricordo. Come pure il terzo referendum che aveva decretato il no all'indipendenza, anche se con record di astensione (oltre il 56%). Lontano pure quel clima di dialogo che nel 1988 portò alla fine dei disordini tra indipendentisti e lealisti che firmarono l'accordo con cui Parigi riconosceva i danni del colonialismo e la legittimità della popolazione autoctona, oggi sempre più permeata da una crescente immigrazione da altre isole del Pacifico e dall'Asia.

Da dieci giorni, in Nuova Caledonia regna infatti il caos: 248 arresti, 84 feriti tra agenti e gendarmi, sei morti, decine di edifici dati alle fiamme e residenti costretti a barricarsi nelle case. Ma non c'è solo la minoranza etnica dei kanak (gli indigeni, circa il 40% della popolazione) contro la riforma in discussione a Parigi sul cosiddetto «scongelamento dell'elettorato» che oggi vede tre corpi elettorali distinti. La colpa dei dieci giorni di violenze, per il governo francese sarebbe in larga parte di TikTok. Dopo le speculazioni sul ruolo di potenze straniere che starebbero soffiando sulle tensioni, Parigi punta il dito contro l'applicazione cinese. Ieri, però, la doccia fredda del Consiglio di Stato, che ha concesso solo 24 ore al governo per giustificare il divieto di TikTok in Nuova Caledonia. Il rappresentante del governo parla di «forte corrispondenza» dell'età dei rivoltosi con quella degli utenti della piattaforma, i quali, secondo l'esecutivo di Macron, avrebbero utilizzato l'app per orchestrare le sommosse. A Parigi si mostrano screenshot, file, chat; un po' come il governo fece l'estate scorsa con le rivolte delle banlieue. In Nuova Caledonia si levano blocchi e machete. E se il capo dello Stato scende in campo con un ultimatum e mille nuovi agenti, i banditi lo minacciano in un video: «Ti aspettiamo, non arretriamo di un millimetro», gridano a volto coperto.

L'ultimo bilancio conta 400 imprese danneggiate (la gestione dei giacimenti di nichel è tra le fonti di scontro), 1 miliardo di euro di danni e popolazione terrorizzata. Si stima che ormai ci siano più armi che adulti. Il premier Attal ammette che «c'è ancora molta strada da fare prima di tornare alla normalità, ma siamo determinati a ripristinare l'ordine, presupposto essenziale per il dialogo».

Macron ha parlato di «chiari progressi», ma ha già mobilitato i militari al posto delle forze di sicurezza interna per proteggere gli edifici pubblici e rimuovere i blocchi dei ribelli: urge permettere ai turisti bloccati negli alberghi di tornare a casa. Ieri le prime partenze: dopo i corpi dei due gendarmi uccisi negli scontri, atterrati in Provenza, 50 australiani sui 300 ancora in stand by.

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