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Macron sulla graticola tenta la difesa: "Sono stato tradito"

«La responsabilità finale è comunque mia» Consenso ai minimi. C'è la mozione di sfiducia

Macron sulla graticola tenta la difesa: "Sono stato  tradito"

Il tono è di sfida: «Se cercano un responsabile, sono io ed io soltanto». Il tono di un presidente al minimo storico che al termine di una giornata difficilissima per il suo governo rompe il silenzio e parla di «tradimento». François Macron raggiunge a tarda sera i deputati e i ministri de La République En Marche e affronta per la prima volta il caso Benalla, seppure a porte chiuse: «Nessuno nel mio gabinetto o a me vicino è stato protetto, sottratto alle regole o alle leggi della Repubblica». Lo rilanciano via Twitter i deputati, contenti di liberarsi dal fardello ingombrante di un body-guard che tutti o quasi hanno disconosciuto, definito ieri da Macron «una delusione».

La giornata aveva messo all'angolo il presidente. In Assemblea nazionale il fuoco incrociato delle opposizioni e i fatti accertati dalla commissione d'inchiesta portavano a un solo indirizzo: l'Eliseo, Macron che ha taciuto per giorni nonostante le indagini aperte, una giudiziaria, una interna alla polizia e due parlamentari in meno di una settimana.

Il governo ne ha fatto le spese in aula. Con il premier Edouard Philippe costretto a ribattere nel Question time: «Non c'è nessun affare di Stato, è stata una deriva individuale, l'Assemblea nazionale non è un tribunale, non posso entrare nel merito della presidenza e del suo funzionamento». La destra gollista annuncia una mozione di sfiducia, appoggiata dalla Francia ribelle di Jean-Luc Mélenchon. Mentre i sondaggi danno Macron al minimo storico: la sfiducia sale al 60%, solo il 32% dei francesi lo sostiene. L'80% si dice invece sotto choc.

Crescono col passare delle ore le ombre sulla figura di Alexandre Benalla, sui rapporti con il presidente della Repubblica e i costanti privilegi che gli hanno permesso di vivere gli incarichi al di sopra del protocollo, se non delle regole e della legge. Prima che Macron togliesse tutti dall'imbarazzo, Patrick Strzoda si era preso la responsabilità. Il direttore di gabinetto dell'Eliseo aveva assunto Benalla dopo la campagna elettorale 2017, deciso «in totale autonomia» la «punizione» seguita all'aggressione del 1° maggio due settimane di stop ammettendo di aver autorizzato la partecipazione del body-guard alla manifestazione del 1° maggio («non mi sono opposto»), e di aver indirizzato la lettera alla prefettura per fornirgli il porto d'armi («sono favorevole») nonostante gli fosse stato negato due volte dal ministero dell'Interno. Soprattutto, di aver scelto di non denunciarlo al procuratore, che invece, dopo il video pubblicato da Le Monde settimana scorsa (in cui si vede l'aggressione di Benalla a due manifestanti), ha incriminato e messo agli arresti l'ex body-guard che si era finto poliziotto.

«Al mio livello non avevo l'autorità per far ricorso all'articolo 40», cioè denunciare al procuratore, si difende il direttore del gabinetto Macron. Benalla era sotto la sua gerarchia. Sopra c'è solo il presidente. Che a tarda sera «confessa» ciò che Strzoda non aveva potuto dire: «Io ho dato fiducia a Benalla ed io solo», ammette Macron. «Il presidente era a 10 mila chilometri quando ho deciso che la sospensione di due settimane per Benalla fosse sufficiente», aveva detto Strzoda. Un deputato gli fa notare che quando il presidente è rientrato, se non ha chiesto di denunciarlo significa che era d'accordo con la sua decisione. Macron confermerà in serata. Intanto le ombre sulla cerchia di fedelissimi portati all'Eliseo spuntano come ninja, nomi e contratti che non risultano nella Gazzetta ufficiale. Esisterebbe anche un progetto di «riorganizzazione dei servizi della sicurezza presidenziale», dice Strzoda. «All'Eliseo si confrontano su questo tema e certe volte Benalla era presente alle riunioni», è l'ultima rivelazione. Ora toccherà a Macron chiarire. L'Assemblée lo vuole sul banco della commissione.

E nulla impedisce di convocarlo.

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