Elezioni Politiche 2018

Di Maio fa l'istituzionale per mangiarsi il Pd Ora teme di restare solo

Spera nell'aiuto dei dem al tracollo e usa il fair play. Rischia di non riuscire a fare un governo

Di Maio fa l'istituzionale per mangiarsi il Pd Ora teme di restare solo

Gioco, partita, incontro, sceneggiata. Nella mattinata di ieri, prima della conferenza stampa e dopo la sbornia elettorale notturna, Luigi Di Maio è tutto per il suo staff. «Deve essere il primo discorso da premier incaricato - gli consigliano - abbiamo preso il 33% mantenendo un approccio più istituzionale rispetto ai Vaffa del 2013». Non è il momento degli attacchi, ragionano Di Maio e i collaboratori più stretti, artefici della cavalcata. La strategia è presentarsi agli italiani «come se già avessimo avuto l'incarico», sulla scia della lista dei ministri preconfezionata prima del voto. Perché sprecare tutto il lavoro fatto con uno strappo? Meglio elogiare Mattarella («Sopno fiducioso, agirà con autorevolezza») e non danzare sul cadavere di Matteo Renzi. Di Maio si presenta sul palco dell'Hotel Parco dei Principi di Roma, apre «al dialogo con tutti», parla di «un Movimento rappresentativo dell'intera nazione» e punta «inevitabilmente verso il governo dell'Italia». Il Partito Democratico, con Renzi che balla sull'orlo dell'abisso, nonostante le bocche cucite dei fedelissimi del leader M5s, non è quasi più un avversario. Di Maio, davanti al microfono, ignora il tonfo della sinistra. È il segnale di una strategia precisa «concordata con lo staff e i parlamentari di fiducia come Riccardo Fraccaro, Alfonso Bonafede e Danilo Toninelli»,fa sapere un «portavoce» che è fuori da quel cerchio magico. Proprio Toninelli, in collegamento con il Tg1, spiega: «Dovrà essere un governo di programma, i cittadini ci hanno dato un voto sui temi, gli altri sono obbligati a convergere su dei temi e a convergere con noi». Il fedelissimo detta la linea: «Presenteremo una rosa di nomi per le presidenze delle Camere, qualsiasi maggioranza deve passare da noi». Ed ecco un punto della strategia: «il contentino a un Roberto Fico quasi isolato» da mettere in lizza per la presidenza della Camera. Mentre l'altro non-detto nel piano del ristrettissimo staff è «guardare a sinistra».

Insomma, i grillini stavolta vogliono governare e hanno intenzione di fare il giro delle sette chiese. Bussando a tutte le porte, a partire dal Partito Democratico. Un Pd che da domani sarà «infiltrabile» e senza segretario, anche se il Renzi dimissionario ha precisato: «Noi saremo all'opposizione, nessun inciucio, no estremismi». Con la Lega, invece, il rapporto pare essere irrecuperabile. L'unica frecciata, nel discorso di Di Maio, è per Matteo Salvini: «Noi rappresentiamo tutto lo stivale, dalla Valle d'Aosta alla Sicilia, invece non posso dire lo stesso di altri che invece sono delle forze politiche territoriali». Nel contesto istituzionale del Parco dei Principi, questa riflessione sembra proprio una porta in faccia a qualsiasi ipotesi di esecutivo M5s-Lega. Il dialogo tra le due forze, che è continuato sotto traccia per molto tempo, ha visto l'ultimo tentativo di riavvicinamento durante il referendum per l'autonomia dello scorso 20 ottobre, con una sorta di «patto di desistenza» dei grillini, soprattutto in Veneto, nei confronti dei leghisti. Ma poi Di Maio ha deciso, nel suo rally elettorale, di girare il Nord in lungo e in largo a caccia dei consensi di Salvini. E David Borrelli, il «pontiere» delle trattative tra il Movimento e la Lega, ha abbandonato il M5s per fondare un nuovo «movimento delle imprese». Una mossa che, sussurrano in Veneto, «ha contenuto di molto l'avanzata grillina soprattutto nel Nord-Est». Dunque, il «premier auto incaricato» si proporrà a tutti gli altri con l'obiettivo di arrivare a Palazzo Chigi. Ma i dem, per ora, hanno chiuso la porta.

Di Maio, dopo le aperture istituzionali della conferenza stampa, si chiude in un pomeriggio di silenzio. Dice che è «cominciata la Terza Repubblica dei cittadini» e nel frattempo prova a sciogliere le prime matasse. Il dossier più caldo è quello dei candidati «espulsi» in campagna elettorale ed eletti. Un potenziale bacino di voti per un ipotetico governo di centrodestra. Undici parlamentari, tra indagati e furbetti del rimborso.

Per Di Maio è meglio aspettare e prendere tempo.

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