Guerra in Ucraina

Mariupol non si spezza. "Noi lottiamo ancora"

Gli ucraini da sotto le macerie inviano video. Anche al Papa. Continuano le deportazioni

Mariupol non si spezza. "Noi lottiamo ancora"

A Mariupol i combattenti ucraini si aggrappano persino a Telegram e a YouTube per mostrare al mondo che quella russa è in parte propaganda. Ieri pomeriggio sulle due piattaforme social è apparso un video girato dal battaglione Azov nel quale si vedono scampoli di combattimenti nelle acciaierie della località portuale. «Abbiamo respinto l'ultimatum di Mosca e siamo ancora vivi - confermano - la difesa della città continua. La superiorità dei nostri nemici è schiacciante, ma siamo riusciti a contrattaccare». Parole che trovano conferme nelle affermazioni di ieri sera del comandante in capo dell'esercito Valery Zaluzhny: «A Mariupol stiamo respingendo gli invasori sia dal mare sia sulla terraferma».

Nonostante la forza inoppugnabile del nemico, le condizioni disumane sul campo di battaglia e il fuoco costante dell'artiglieria e dei razzi, l'ultimo manipolo che tiene in piedi la traballante ed esile resistenza di Mariupol ci tiene a rivelare al mondo che nulla è del tutto perduto. Uno schiaffo alle dichiarazioni rilasciate sabato dal ministero della Difesa di Mosca che aveva annunciato di aver preso Mariupol e annientato la resistenza. Putin ha fretta: la caduta della città gli darebbe l'opportunità di spostare le sue truppe dal Sud alla terraferma, oltre a mostrare una vittoria importante in tempo per la parata del 9 maggio.

Il video di Telegram rappresenta un minuscolo segnale di ottimismo, una goccia di speranza in un oceano di orrore, ma gli ucraini fanno leva sugli atti eroici dei guerriglieri di Azov e di ciò che resta della 36esima brigata dei Marines per tentare quella che ha tutti i connotati di una missione impossibile. La resistenza ha comunque messo duramente alla prova le truppe russe, costrette a deviare verso la città portuale uomini e attrezzature, rallentando così l'avanzata in altre aree del Paese. Lo afferma l'MI6 britannico nel suo ultimo aggiornamento pubblicato dal ministero della Difesa di Londra. Tutto questo però ha un duro prezzo per la popolazione, dove donne con bambini e neonati vivono in bunker nella fame e nel freddo. I feriti muoiono quotidianamente per la mancanza di medicine. Lo testimonia il vice-sindaco Sergei Orlov, che ribadisce come la situazione sia in una fase di stallo: «L'esercito ucraino continua la battaglia, la città è isolata e ormai quasi tutta rasa al suolo. Senza aiuti umanitari le speranze di sopravvivenza si riducono al lumicino». Aiuti che vengono chiesti dalla vicepremier Iryna Vereschuk, che si rivolge alla leadership politico-militare della Federazione Russa sollecitando l'apertura di un corridoio umanitario da Mariupol a Berdyansk per i civili e di un altro salvacondotto dal territorio dello stabilimento Azovstal per donne e bambini (circa un migliaio). «Il vostro rifiuto diventerà un deliberato atto di crimine di guerra», scrive su Telegram. Anche il maggiore Sergiy Volyna, comandante della 36esima brigata, reclama con fermezza l'apertura dei corridoi e lo fa con una lettera inviata a papa Francesco. «È giunto il momento in cui solo le preghiere non bastano più. Porti la verità nel mondo, aiuti ad evacuare le persone e salvi le loro vite dalle mani di Satana», si legge nella missiva.

Vite che spesso finiscono per essere cancellate dalle deportazioni. A Mariupol non si hanno più notizie di 150 bambini, 100 dei quali erano ricoverati all'ospedale Vishnevsky perché malati e feriti. Lo denuncia il gruppo per i diritti umani Crimean Human Rights Group. «Non sono orfani - commenta la direttrice dell'organizzazione Olga Skrypnyk - perché i piccoli senza genitori erano già stati evacuati da Mariupol il 24 e 25 febbraio». Per il presidente Zelensky in tutta la regione di Pryazovia sono stati «rapiti circa 5mila bambini, e nessuno sa più dove siano». È un inferno anche per gli adulti: alcuni vengono reclutati per combattere, convinti dalla (falsa) promessa di un risarcimento in rubli per le case distrutte nei bombardamenti, altri impiegati nello sgombero delle macerie.

Quelli considerati inaffidabili trasferiti a Bezimenne, nel Donetsk.

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