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I sogni dello sfidante Corbyn, "vecchio arnese rosso"

Più che nel suo programma da sindacalista anni '70 confida nei giovani no global

I sogni dello sfidante Corbyn, "vecchio arnese rosso"

Mai visti tanti ceri e rose rosse di plastica come negli ultimi giorni sotto il busto di Carl Marx al cimitero di Highgate. Proprio come quando il compagno Jeremy Corbyn aveva vinto a sorpresa (con una candidatura di bandiera) la leadership Labour nel 2015, sull'onda del rifiuto dilagante nella base verso ex blairiani liberal e carrieristi vari. «Questo per i minatori di Cortonwood, vi vendicheremo», la dedica su un biglietto nostalgico dello storico strike anti Thatcher degli anni Ottanta. D'altronde con il compagno Jez questa campagna elettorale è sembrata un film in costume ottocentesco come sanno farli solo gli inglesi. Dalle nebbie metropolitane è riemerso un socialismo invecchiato male, un vino rosso imbevibile, eppure - nelle ultime settimane gradito a molti, soprattutto giovani no global sotto i 24 anni che hanno scoperto Jez come fosse un polveroso disco rock in vinile, ma anche alla Londra posh ancora rabbiosa di Brexit (nonostante il Bernie Sanders del Tamigi sia un europeista assai tiepidino): tutti a brindare alla disastrosa macchina elettorale della premier conservatrice Teresa May, che nel suo azzardo confidava proprio nella debolezza di questo improbabile vecchio arnese della sinistra radicale, da 35 anni backbencher alla Camera dei Comuni, relegato negli ultimi banchi come uno scolaro mariuolo.

Il suo programma un ripasso dei manuali anni Settanta per aspiranti sindacalisti: nazionalizzazioni dei mezzi pubblici e dell'energia, abolizione delle tasse universitarie, pasti gratis nelle mense scolastiche, stop ai tagli alla Sanità. Quasi un Paese uscito dalla fantasia di Jonathan Swift l'Inghilterra di Jez il rosso, un Bengodi pagato dai contribuenti della classe media e dalle imprese ovviamente. Ma il personaggio è questo, prendere o lasciare, a suo modo simpatico per la tenacia nostalgica, da uomo fermo come un paracarro al mondo pre Muro di Berlino, se non ci fosse di mezzo Downing Street, uno dei simboli della democrazia occidentale, e non la guida d'un club marxista-leninista di periferia. Due anni fa, come un reduce della Quarta internazionale, voleva ripristinare l'articolo 4 della costituzione Labour abolito da Tony Blair e che sostiene la collettivizzazione dei mezzi di produzione. Fu questo indizio, quasi clinico, a suggerire a Blair l'invito, nei confronti di quei laburisti intenzionati a votare Corbyn con il cuore «a farsi un trapianto».

Zero appeal elettorale, Jez è anche soprannominato «l'uomo senza ferro da stiro», per via delle sue giacche Harrington beige stazzonate, le canottiere della salute comperate alle bancarelle, l'aria e la barba sfatta di chi più che ai tweet crede ancora in ciclostile, picchetti e megafoni. Ex prof di geografia al liceo, sulla storia e la politica estera del suo Paese ha idee originali: anti monarchico, in favore dell'unità irlandese, amico del bombarolo dell'Ira Gerry Adams, sostenitore di Hamas, ha definito «una tragedia» l'eliminazione di Bin Laden, accusa la Nato di agitarsi troppo ai confini russi. Nato nel Witshire, figlio di un ingegnere e di una insegnante di matematica conosciutisi durante la Guerra civile spagnola, Jeremy cresce nella brughiera nel mito della Ibarruri, come un piccolo Buddha operaista. Non ha mai cambiato idea, ma ben tre mogli; le molla quando cedono alle sirene borghesi, come la seconda appena espresse il desiderio d'iscrivere il figlio alla scuola privata. L'ultima, cilena, sembra per ora una compagna perfetta, commercia in caffè equosolidale ed è vegetariana e astemia come il capo.

Da sette lustri è deputato di Islington, Londra Nord, dove ieri ha tenuto l'ultimo comizio, già residenza di Lenin ma anche roccaforte del quasi reazionario Boris Johnson, pure lui sprovvisto di patente e bici dotato. Abile nell'uso della retorica dell'insuccesso, coltivata da molti tifosi radical chic anche in Italia, Corbyn celebra le sconfitte dell'Arsenal, il suo idolo è soprattutto l'allenatore Arsène Wenger, uno che gioca bene ma non vince mai.

Jez invece è fortunato, è nato con la camicia rossa, le sue sorprendenti performance sono il frutto dei disastri altrui, e delle coincidenze, come quella che a capo del governo conservatore alla ricerca del plebiscito e alle prese con le carneficine dell'Isis, ci sia una ex ministra dell'Interno che ha avvallato il taglio di 20mila agenti.

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