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Meno soldi, meno diritti e statali licenziabili Così la Spagna è ripartita

Il governo Rajoy ha ridotto gli indennizzi e gli stipendi e cancellato le tredicesime. Oggi il Pil cresce, la disoccupazione cala

Meno soldi, meno diritti e statali licenziabili Così la Spagna è ripartita

Mercato del lavoro in crescita, disoccupazione in calo. Un bilancio positivo per l'unico paese in controtendenza nell'Eurozona che arranca: la Spagna di Mariano Rajoy.

Dal drammatico picco del 2013 con un tasso di disoccupazione del 26,94 a quello dell'ultimo trimestre di quest'anno sceso al 23,67. A questo dato positivo, in un quadro europeo con il segno meno e dunque tanto più importante, si aggiunge un aumento del Pil dello 0,5 per cento. Eppure il leader conservatore è arrivato al potere in un paese ad un passo dal default dopo l'era Zapatero: come ha fatto a tirare fuori gli spagnoli dal pantano?

Economisti ed esperti attribuiscono il successo spagnolo alla riforma del mercato del lavoro, reso molto più flessibile e soprattutto al coraggio di far cadere un tabù: la licenziabilità dei dipendenti pubblici, che in Spagna sono oltre tre milioni. Le nuove regole introdotte con le riforma infatti valgono anche per le imprese pubbliche. La ripresa non è certamente dovuta soltanto al superamento di quel veto ma la scossa a quanto pare è servita e nonostante le proteste dei lavoratori Rajoy ha tirato dritto. L'Italia avrà il coraggio di fare altrettanto?

La riforma spagnola ha dato il via libera ai licenziamenti dei dipendenti degli enti pubblici (escludendo gli assunti per concorso) purché l'ente in questione riporti tre trimestri consecutivi di bilancio in deficit. Non solo. Rajoy ha ridotto drasticamente gli indennizzi previsti per i licenziamenti passati dai 45 giorni per anno lavorativo per 42 mesi ai 33 giorni per un totale di 24 mesi. Colpiti anche i dirigenti pubblici con riduzione dello stipendio e cancellazione della tredicesima per parlamentari, funzionari e impiegati pubblici.

La scure dell'implacabile Rajoy si è abbattuta pure sugli stipendi dei dirigenti delle imprese pubbliche, ridotti in alcuni casi del 30 per cento. Le indennità sono state cancellate in caso di mancato raggiungimento degli obbiettivi previsti. Dall'altra parte il premier spagnolo ha potenziato le deduzioni fiscali per le piccole e medie imprese. In generale è stato dato alle imprese il potere di introdurre modifiche alle condizioni del lavoro per ragioni economiche, tecniche ed organizzative. I contratti collettivi scaduti sono rinnovabili soltanto per un anno. Riforme impopolari accolte dall'ostilità dei sindacati e dei lavoratori. La tesi dei critici della riforma è che in realtà il lavoro a tempo pieno è stato sostituito dal part-time e che il lavoro qualificato ha ceduto il passo ai contratti degli stagisti.

É un fatto però che la ricetta Rajoy ha permesso alla Spagna di distinguersi dal generale rallentamento che contrassegna tutti i paesi dell'Eurozona.

I disoccupati nel 2012 erano 6 milioni e 200.000 mentre nell'ottobre di quest'anno erano scesi a 5 milioni 428.000. Certamente sempre moltissimi ma comunque in controtendenza rispetto ad un aumento della disoccupazione nella zona euro. Nella scorsa estate la Spagna ha registrato un incremento di oltre 150.000 occupati. Sono quindi cinque trimestri consecutivi che il paese di Rajoy registra una ripresa tanto che la Banca di Spagna ha rialzato le previsione del Pil per il prossimo anno al 2 per cento. Il premier conservatore calcola che al termine del suo mandato nel 2015 ci saranno 622.000 posti di lavoro in più.

L'Ocse in autunno ha dato un giudizio positivo sulla riforma spagnola del mercato del lavoro, invitandola però ad andare avanti sulla strada delel riforme riducendo però le agevolazioni perché la pressione fiscale è inferiore a quelle di tutti i paesi vicini.

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