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Miliardari o proletari? Ecco chi salva il ceto medio

Non solo capi estremi, molte aziende riscoprono l'importanza di vestire (bene) la "middle class"

Miliardari o proletari? Ecco chi salva il ceto medio

Firenze. Ci sono due scuole di pensiero nella moda opposte e inconciliabili in tutto tranne nell'idea peregrina di far fuori il ceto medio o middle class. Sta di fatto che nei negozi ormai si trovano capi e accessori inarrivabili sia per il prezzo esorbitante sia per l'aspetto estremamente lussuoso oppure cose finto-povere che in ogni caso costano troppo. Tra questi due estremi c'è il fast fashion che è la seconda industria più inquinante della terra e poi uno zoccolo duro d'imprenditori del tessile abbigliamento che non si fanno tanto sedurre dalle sirene del fashion system modaiolo quanto dalle reali necessità della gente comune. All'edizione 103 di Pitti Immagine Uomo che chiude oggi i battenti a Firenze se ne son visti tanti che hanno senza dubbio attirato la maggior parte dei 12.600 compratori registrati fino alle 12 di ieri destinati a diventare 14 mila per la chiusura del salone. Certo, qualcuno avrà anche visto e applaudito la poetica sfilata-happening del quarantaduenne designer belga Jan-Jan Van Essche nel refettorio di Santa Maria Novella seguita da un breve spettacolo di danza moderna e da una presentazione statica davanti agli affreschi rinascimentali degli stessi modelli appena visti in passerella. Tra questi si ricordano i lunghi cappotti fatti da un tessuto tipo coperta militare, le camicie lunghe tipo caftano marocchino sui raffinati pantaloni tagliati a semicerchio. Ma se i prezzi di questo nuovo minimalismo senza distinzione di genere non saranno calibrati al centesimo, sarà difficile vedere le code nei negozi di moda maschile. Più facile il cammino di Martine Rose la designer anglo-giamaicana che ha sfilato ieri sera nella loggia del Mercato del Porcellino con il classico street casting che agli inglesi piace un sacco mentre a noi piacerebbe sognare un barista «carrozzato» come George Clooney ai tempi di E.R. «Sono interessata all'ordinarietà» mormora invece la stilista poco prima di far sfilare jeans strappati, cappotti con le frange, camicie con le fantasie anni '70 e giacche a vento mastodontiche oltre che rosa bubble gum. In un mondo perfetto il guest designer di Pitti 103 avrebbe dovuto essere Luke Hall (nella foto grande in alto a destra), 33 anni, artefice di una deliziosa collezione di maglie ispirata dal folklore britannico con tanto di draghi da vessillo medioevale e immagini del leggendario Green Men della brughiera. Per quanto giovane sia Luke ha già disegnato per marchi d'importanza mondiale come Richard Ginori, ma a differenza di Martine non fa parte dell'enclave di Demna, l'immaginifico designer georgiano a capo di Balenciaga che attira il pubblico modaiolo come il miele le mosche. Ben diverso il prodotto visto in fortezza per esempio nello stand di AT.P.CO, marchio del gruppo bresciano Golden Season fondato da Luca Orsatti, un imprenditore italiano che ha aperto una fabbrica in Cina 23 anni fa per produrre conto terzi. «Nel 2010 decido di fare un marchio atipico e da lì viene l'idea del nome racconta poi un giorno il commercialista mi segnala che in breve tempo con questa linea avevamo raggiunto i 9 milioni di fatturato annuo». Comincia così a studiare forme e colori roboanti per poi tornare a quel che sa fare benissimo: un guardaroba solido a prezzi decenti. Stessa storia per People, marchio di piumini fondato da Angelo Loffredo che in mezzo a tutto è socio di Orsatti e che ha un'identica passione per quell'aurea normalità per cui un giubbotto non ti rende grande come Mazinga e non ha il colore della cicca appiccicata alle scarpe. Anche da Alpha Studio dove non hanno paura di parlare di classico e di colori solidi come il blu perché se sai usare filati nuovi puoi trovare una quadra tra evoluzione e tradizione.

Da Jaked marchio nato nel 2009 dal costume da bagno che ha portato Federica Pellegrini e il nostro nuoto sul podio olimpico di Atene, anche le tute da ginnastica hanno uno stile normale e al tempo stesso speciale. E se fosse la chiave di volta del mercato in questi tempi difficili?

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