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Morales atterra in Messico: "Rischio la vita ma resisterò"

L'ex presidente in fuga dalla Bolivia arriva nel Paese amico che gli dà asilo: «Tornerò più forte di prima»

Morales atterra in Messico: "Rischio la vita ma resisterò"

San Paolo - «Resistere, questa è la mia consegna. Tornerò in Bolivia più forte di prima. È stato un golpe e me ne sono andato per evitare ulteriore spargimento di sangue». Questo, in sintesi, il manifesto politico dell'oramai ex presidente boliviano Evo Morales che, dopo avere rassegnato le dimissioni domenica scorsa, da ieri è in Messico, dove Andrés Manuel López Obrador gli ha concesso l'asilo politico perché «la sua vita era a rischio». Per il momento, tuttavia, a morire in Bolivia sono altri. Ultimo in ordine cronologico il comandante dell'Unità Tattica delle Operazioni della Polizia (Utop), Heybert Antelo Alarcón, deceduto ieri in seguito a un incidente a El Alto, la città dormitorio di oltre un milione di abitanti che sovrasta La Paz. È questo da due giorni il fulcro delle violente proteste fomentate dai supporter più radicali dell'ex presidente Evo Morales, tra cui una parte dei «Ponchos Rossi» (l'altra lo ha invece «scaricato» accordandosi con i comitati civici di opposizione) che sanno bene cosa intenda per «resistere» il fondatore del Mas, il Movimento al Socialismo, ora rifugiatosi in Messico. «Ad Heybert è stata tesa un'imboscata mentre compiva il suo dovere recandosi a El Alto per contenere i criminali che seminano il terrore tra le famiglie boliviane ha detto ieri il vicecomandante della Polizia - gli hanno tirato addosso pietre e dinamite». Il comandante dell'Utop è così la quinta vittima della furia dei supporter più violenti di Morales. Degli altri, tre sono stati uccisi a pistolettate, uno a bastonate ed erano tutti oppositori di Evo, mentre Heybert, a detta di suoi colleghi, sarebbe stato preso di mira proprio da un manipolo di Ponchos Rojos che l'altroieri sono scesi da El Alto su La Paz, armati con dinamite, bastoni e armi seminando il terrore al grido di «guerra civile, guerra civile». Una variabile importante perché si tratta di una milizia gestita come un esercito parallelo dal Mas ed organizzata sul modello dei «collettivi» chavisti per difendere la rivoluzione e, inoltre, è la stessa che nel 2003 cinse d'assedio La Paz spianando la strada per l'ascesa al potere di Morales. La Bolivia comunque «non è sull'orlo della guerra civile - racconta il giornalista Roberto Aguirre - anche se la situazione è tesa».

Le Forze Armate dall'altroieri sera sono scese in strada nella capitale per dar manforte alla polizia, che aveva chiesto loro aiuto perché «neutralizzate dai violenti, alcuni per motivo ideologico ma molti pagati sino a 400 boliviani per fomentare il caos». Ieri, mentre il dittatore del Venezuela, Nicolás Maduro incolpava i soliti Usa di avere organizzato tutto loro e Diego Maradona denunciava insieme a mezza sinistra mondiale il «colpo di stato contro il compagno Evo», le autorità cercavano di seguire l'iter costituzionale nominando come successore di Morales Jeanine Añez, la terza carica dello stato dopo le dimissioni del leader cocalero e del suo vice.

Il suo obiettivo? Indire al più presto nuove elezioni, questa volta senza frode.

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