Da Movimento a partito coi soldi altrui

Il Movimento 5 Stelle ha scoperto che fare politica costa. Ora un escamotage per poter accettare i finanziamenti pubblici del 2 per mille

Da Movimento a partito coi soldi altrui

Com'era il famoso motto? Rubare ai ricchi per dare ai poveri. Peccato che dalle parti grilline ci si stia sbizzarrendo in modo abbastanza libertino nella sua interpretazione. Il Movimento 5 Stelle - da tempo in difficoltà con parlamentari morosi, scontri sulla destinazione delle cosiddette «restituzioni», dissidi interni ed espulsioni - ha scoperto che fare politica costa. O quantomeno, che anche la retorica populista non vive di soli slogan, ma ha bisogno di frequenti iniezioni di denaro per continuare a propalare il proprio credo. Da qui l'escamotage su cui in verità i grillini si azzuffano già da tempo: accettare i finanziamenti pubblici del 2 per mille.

A novembre, un referendum interno aveva sancito il via libera con il 72% dei sì, a fine anno la commissione parlamentare aveva però chiuso la porta: il movimento non risulta iscritto al registro nazionale dei partiti, ergo niente soldi. E così, ieri è arrivato un nuovo passo nella trasformazione grillina da movimento anti-sistema a perfetta rappresentazione della Casta: lo statuto del Movimento 5 Stelle è stato pubblicato nella sezione «Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici» della Gazzetta Ufficiale. Un atto che ne certifica a tutti gli effetti lo status di partito: è il primo passo per aprire le tasche ai finanziamenti pubblici del 2 per mille.

Perché, in fondo, spendere i soldi (degli altri) è sempre più facile. E la riprova della strana concezione dei grillini del denaro arriva - guarda caso - dal reddito di cittadinanza. Nelle settimane in cui si «festeggia» il terzo anno di entrata in vigore - il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi denuncia che «è già costato 30 miliardi in 3 anni» - a spanne 750 euro a famiglia - e che «a oggi dobbiamo trovare lavoro ai Navigator che avevamo assunto perché trovassero lavoro a chi non ce l'aveva».

Lo dicono i numeri: una misura concettualmente condivisibile ma che alla prova dei fatti si è rivelata un totale fallimento. E allora, come intervenire? Beppe Grillo ieri ha invitato i suoi seguaci a «firmare e condividere l'introduzione di un reddito di base universale». Tanto, non sono mica soldi grillini.

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