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Il musulmano "integrato" in galera per schiavismo

Segregava la moglie in casa e la picchiava: tre anni di prigione a meccanico pakistano (e britannico). Ma la realtà è anche peggio

Il musulmano "integrato" in galera per schiavismo

Londra - Segregata a casa, picchiata e umiliata. Per due anni è stata questa la misera vita di Imram, moglie di Safraz Ahmed, un meccanico musulmano della zona sud di Londra che aveva sposato la donna in Pakistan con un matrimonio combinato, quando lei era ancora un'adolescente. Ora verrà ricordato come il primo cittadino britannico condannato a due anni e otto mesi di carcere per il reato di «schiavitù domestica». Un caso che fa storia e che si spera apra la strada a molti casi simili inducendo altre vittime a farsi avanti. Perchè di Imram in Inghilterra ce ne sono molte altre, ma spesso il terrore impedisce loro di denunciare. Probabilmente neppure Imram l'avrebbe fatto se, nel 2014, i suoi vicini non avessero notato quella donna che veniva tirata a forza dentro casa dal marito che l'aveva afferrata per i capelli e non avessero chiamato la polizia. Gli agenti notarono che la signora aveva un occhio nero e il naso fratturato e arrestarono il marito che però venne rilasciato il giorno dopo perchè la moglie fu costretta dalla famiglia a firmare una richiesta di scarcerazione. Diciotto mesi dopo Imram tentò senza riuscirci di suicidarsi per mettere fine ad una vita di sofferenze. Chiamò invece la polizia che la convinse a denunciare Ahmed e a lasciare casa. Quando Imram arrivò dal Pakistan a Londra non si aspettava certo di finire così. Era una ragazza che aveva studiato, forse sperava di trovare un lavoro, sicuramente non pensava di dividere la vita con un uomo che l'avrebbe costretta ad occuparsi di lui e della casa dalle cinque del mattino fino a mezzanotte inoltrata. Le punizioni arrivavano ogni giorno, per futili motivi, tanto da convincere Imram di «non valere nulla: «Non potevo fare niente di quello che desideravo - ha dichiarato la donna durante il processo - non potevo uscire da sola, nè farmi degli amici o conoscere qualcuno». Il marito la picchia di continuo, le tira dietro il cibo dei gatti, la spinge a gettarsi di fronte una macchina in corsa o a tuffarsi nel fiume. Un regime vero e proprio di torture fisiche e mentali che sono costate all'uomo quasi tre anni di carcere, anche se probabilmente Ahmed sarà libero prima dato che le due sentenze, i due anni per la schiavitù e gli otto mesi per le violenze fisiche, hanno durata contemporanea. Una vittoria parziale quindi che, come spiega Damaris Lakin, avvocato della Procura della Corona, dimostra quanto siamo lontani ancora dall'aver sconfitto la schiavitù dei nostri tempi. «Questo è il primo caso in cui un uomo viene condannato per un simile reato». Secondo i consulenti del ministero degli Interni soltanto nel 2013 c'erano nel Regno Unito dai 10 ai 13mila casi di schiavitù comprese prostituzione, operai sfruttati nelle fabbriche e nei campi come schiavi.

Non si sa quante siano le Imram vittime di feroci violenza domestica, ma Polly Harrar, fondatrice di un'associazione che aiuta le vittime dei matrimoni combinati nelle comunità sud-asiatiche è certa che siano centinaia, se non migliaia: «Questo caso è solo la punta dell'iceberg, ma è servito a prendere consapevolezza del problema».

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