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"Noi turchi non siamo ambigui. Combattiamo l'Isis da sempre"

L'ambasciatore in Italia Aydin Adnan Sezgin: "Basta con la disinformazione. Il Califfato è un mostro, vogliamo cacciarlo dai nostri confini"

"Noi turchi non siamo ambigui. Combattiamo l'Isis da sempre"

Roma - É preoccupato di una certa «disinformazione» sulle ultime mosse del governo di Ankara contro i terroristi dell'Isis e i separatisti curdi del Pkk l'ambasciatore della Turchia in Italia, Aydin Adnan Sezgin. E ci tiene a spiegare le ragioni che le hanno determinate.

I bombardamenti iniziati venerdì delle basi del Califfato in Siria e gli attacchi ai ribelli del Pkk sono apparsi come un cambio di strategia del presidente Erdogan: è così?

«La lotta contro Daesh (l'Isis, ndr) non è una novità. Forse ci sono stati errori di comunicazione da parte nostra, ma dal 2013 la Turchia ha proclamato Daesh organizzazione terroristica e negli ultimi 10 mesi abbiamo sempre avuto una collaborazione tattica con gli Usa, visto che facciamo parte della coalizione internazionale. Abbiamo impedito che entrassero in Turchia 16mila persone collegate a Daesh, 1.600 le abbiamo espulse, 1.300 arrestate. Durante l'assedio di Kobane abbiamo accolto 2 milioni di profughi in 3 giorni, consentendo alla popolazione di resistere ai terroristi. I peshmerga curdi dell'Irak sono passati dalla Turchia per unirsi ai combattimenti».

L'accusa è di non aver chiuso le frontiere, consentendo che uomini e mezzi arrivassero agli estremisti islamici.

«Abbiamo 1.300 km di confine con Iraq e Siria, 910 solo con quest'ultima: è evidente la difficoltà di controllarli tutti. Mi sembra una critica ingiusta. Appena abbiamo comunicazione da forze europee, entriamo subito in azione. Perchè Daesh è la principale minaccia per la sicurezza della Turchia, più che di qualsiasi Paese europeo».

Perchè solo ora avete concesso le basi agli aerei i velivoli della coalizione, con un accordo con gli Usa ?

«Collaboriamo con gli americani per forniture e addestramento. I jet militari possono ora usare la base di Incirlik ma anche prima permettevamo che atterrassero i droni».

Temete più il Califfato o il Grande Kurdistan?

«Il Pkk dalle elezioni del 7 giugno ha compiuto 300 attacchi terroristici, l'11 luglio ha annunciato attentati alle infrastrutture nel sud-est. Non potevamo non reagire per difendere la nostra sicurezza. Daesh è un mostro, la grande minaccia alla pace della regione, alla pace globale. Siamo contro tutti i terroristi, nessuna gerarchia».

Non vi preoccupava che nella lotta all'Isis i curdi acquisissero nuovi territori lungo il vostro confine?

«Non vogliamo Daesh al nostro confine, serve una zona di sicurezza. Abbiamo accolto 2 mila profughi, ora l'ondata deve finire».

Qualcuno dice che ora la Turchia si riavvicina all'Occidente.

«Noi siamo l'Occidente, facciamo parte della Nato, che martedì ci ha espresso approvazione a Bruxelles nella seduta straordinaria che abbiamo richiesto. E sono in atto negoziati per l'entrata nella Ue».

Che l'Italia ha sempre favorito.

«Siamo grati all'Italia per il suo sostegno. L'adesione all'Ue per noi è una priorità strategica e il vostro Paese ci aiuta in questo».

Quanto è fondato il timore che la Turchia coltivi il sogno di una leadership nel mondo musulmano, addirittura di un nuovo impero ottomano ?

«Sono solo fantasie. La Turchia è una democrazia, uno Stato di diritto che, anche per il suo sviluppo economico, può essere punto di riferimento per altri Paesi musulmani».

C'è chi spiega le ultime decisioni del presidente Erdogan con la necessità di conquistare i voti dei nazionalisti, in vista di elezioni anticipate.

«Ieri (mercoledì, ndr) il parlamento è stato riunito in seduta straordinaria e tutti i partiti, anche dell'opposizione, sono stati informati delle scelte fatte. Nessuno può pensare che si strumentalizzi a fini di politica interna un conflitto che costa la vita a tante persone».

Dopo l'accordo nucleare con l'Iran che cosa cambia?

«Mi sono sorpreso che certi media lo abbiano collegato con la nostra strategia antiterrorismo, teorizzando complotti. Non c'è alcun legame. Dal 2010 noi, con il Brasile di Lula, abbiamo iniziato a lavorare perchè si realizzasse. E ora nessuno è più felice di noi che l'Iran torni sullo scenario internazionale.

É il nostro maggior partner internazionale e abbiamo subito i maggiori danni per le sanzioni».

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