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Non sarà il Califfo a interrompere una pace di 70 anni

Sopravvissuto all'Urss e allo spread, il più lungo periodo senza conflitti dai tempi dell'impero romano è messo in discussione. Ma non sopravvalutiamo i tagliagole...

Non sarà il Califfo a interrompere una pace di 70 anni

Tra poche settimane l'Europa, la nostra Europa, compirà settant'anni. Di pace. I cannoni della seconda guerra mondiale tacquero il 9 maggio 1945, e da quello stesso giorno i bombardieri non sganciarono più i loro carichi micidiali. Non che con la fine delle ostilità siano finite anche le sofferenze delle popolazioni. Le migrazioni imposte dai vincitori ai vinti ebbero caratteristiche durissime, a volte spietate. La carneficina, almeno quella bellica, aveva tuttavia avuto termine. Fu una pace apparentemente fragile quella che gli europei ebbero in eredità dall'immane scontro armato, così fragile che la si chiamò guerra fredda. Ma nonostante il blocco di Berlino, nonostante la crisi dei missili a Cuba, nonostante i progetti di apocalisse nucleare e di scudo spaziale, resse. Due intere generazioni del vecchio continente sono vissute senza aver provato cosa fosse la guerra, il più lungo periodo di pace dell'Europa dopo l'impero romano. La celebrata belle époque dalla sconfitta francese a Sedan nel 1870 allo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914 è stata ben più corta, 44 anni. È sopravvissuta, questa nostra pace dei privilegiati, all'Urss e allo spread. Toccherà all'Isis dei tagliagole darle il colpo di grazia e ristabilire un millenario andamento ciclico tra pace e guerre?

La risposta all'interrogativo è squisitamente soggettiva. «L'Italia torna in guerra», titolava due giorni or sono, in prima pagina Il Giornale rispecchiando una situazione critica e una convinzione legittima. Tutto dipende, a mio avviso, dal ruolo che si vuole o si deve attribuire ai fanatici del Califfato. Nessuna persona di buon senso può negare la pericolosità di terroristi sanguinari, e la contiguità ai terroristi d'un mondo islamico che trasforma il credo religioso in militanza politica. Questo fa dell'islam una massa di manovra estremamente pericolosa. A chi lo vede come un monolito invincibile guidato da menti raffinatissime è giusto ricordare che l'islam è lacerato al suo interno e che la maggiore guerra del dopoguerra è stata tra due Stati islamici, Irak e Iran. Tutto questo non basta per attenuare l'allarme e, diciamolo pure, la paura per le minacce d'un nemico sfuggente, abile nell'agguato, feroce nell'azione. Gli ossessi nel nome di Allah guardano a Roma come possibile preda, e non sono un esercito regolare da fronteggiare con mezzi regolari. C'è spacconeria provocatoria nei loro proclami. Ma c'è stato e ci sarà spargimento di sangue.

Non pretendo d'avere una diagnosi certa di quel fenomeno orrendo che è l'islamismo truce. Dico solo che è possibile attribuirgli, in chiave storica, due identità molto diverse. Lo si può considerare una malattia seria ma non letale degli assetti nazionali e dell'assetto internazionale. Qualcosa di analogo alle rivolte coloniali del diciannovesimo e ventesimo secolo, violente e come tali represse, ma tenute lontano dalla nostra civiltà e alla nostra società. Oppure lo si può considerare l'espressione tecnologicamente moderna e criminalmente arcaica dei boia che vediamo nei video messi in circolazione. Una masnada di carnefici evoluti e insieme ferocemente primitivi che domani potrebbero lanciare missili chissà dove e che devono essere perseguiti e annientati senza pietà. I settant'anni di pace ci hanno tolto, come ha osservato Ernesto Galli della Loggia, la capacità di pensare alla guerra. Le sollevazioni di anime buone contro le spese militari sono state l'esempio recente di questa mentalità. So anch'io che spendere per le scuole materne è più confortante che spendere per i carri armati. Ma se un giorno il Califfato si sentisse così forte da aggredire il cuore del vecchio continente cosa gli opporremmo, le scuole materne? Personalmente credo che nell'immaginario collettivo l'islam abbia assunto dimensioni superiori alla sua capacità di nuocere: che pure è grandissima. Forse si parla e si grida troppo. Meglio starsene quieti, ma impugnando un nodoso bastone per punire eventuali malintenzionati.

La lunga pace, che ha settant'anni e li dimostra, ha forse ancora una chance diversa dalla sepoltura.

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