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Ora la polizia spara ad altezza uomo. Due morti nelle piazze del Myanmar

Continua la repressione delle proteste contro il regime militare Dopo il golpe del 1° febbraio almeno 550 cittadini arrestati

Ora la polizia spara ad altezza uomo. Due morti nelle piazze del Myanmar

Bangkok. Ancora violenza e sangue in Myanmar. Ieri, durante le proteste contro il colpo di Stato militare del 1° febbraio, le forze di sicurezza sono tornate a sparare sui manifestanti, che da ormai tre settimane chiedono la liberazione di Aung San Suu Kyi e il rispetto delle elezioni del novembre scorso. Secondo i media locali e varie testimonianze, ci sarebbero stati almeno due morti e una cinquantina di feriti a Mandalay, la seconda città più grande del Paese. Un colpo secco alla testa non ha lasciato scampo a un minorenne. Un altro dimostrante è stato centrato al petto ed è morto mentre raggiungeva l'ospedale. «Metà dei feriti sono stati causati da proiettili veri», ha detto Hlaing Min Oo, capo della squadra di operatori del servizio emergenze.

Numerosi video che stanno girando sui social network mostrano uomini della polizia e dell'esercito avanzare facendo fuoco ad altezza uomo contro i manifestanti. «Stanno sparando in modo crudele», dice una voce in sottofondo. Alcune immagini immortalano un giovane cecchino in mimetica, prima in riposo e poi in posizione, nascosto sopra uno dei blindati del Tatmadaw, le forze armate della ex Birmania. In altre foto si vedono altri poliziotti che sparano. In altre ancora i bossoli rimasti a terra e le biglie usate con le fionde per disperdere la folla.

Sempre ieri, altre manifestazioni si sono svolte a Yangon e Naypyitaw, anche per commemorare un'altra vittima della repressione militare, la giovane Mya Thwate Thwate Khaing, morta venerdì dopo dieci giorni di agonia. Pure lei, come centinaia di migliaia di persone, stava protestando contro il golpe militare, quando è stata colpita alla testa da un proiettile, mentre inerme cercava di proteggersi dalla brutale violenza della polizia.

È stata la prima martire di queste dimostrazioni - le più grandi del Paese dopo la Rivoluzione dello Zafferano del 2007 ed è diventata subito un simbolo per tutto il popolo del Myanmar nell'ennesima lotta pacifica per la democrazia.

Dal 1° febbraio le autorità hanno anche eseguito centinaia di fermi. Secondo l'Assistance association for political prisoners, almeno 550 sarebbero le persone detenute. Tra queste, oltre a tutti gli esponenti di spicco del National League for Democracy (Nld), il partito guidato dalla Suu Kyi - anche lei agli arresti domiciliari - e vincitore dell'ultima tornata elettorale, ci sono numerosi dipendenti pubblici, medici, ferrovieri, insegnanti e personale delle banche, che insieme stanno cercando di paralizzare la capacità di comando dell'esercito.

«Condanno fermamente la violenza esercitata dai militari contro pacifici manifestanti civili ed esorto i militari e tutte le forze di sicurezza in Myanmar a fermarsi immediatamente», ha dichiarato Josep Borrell, Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue.

«I governi internazionali dovrebbero sospendere tutto il sostegno politico e finanziario al regime militare e garantire che il sostegno raggiunga i civili in difficoltà, compresi quelli nelle aree etniche», afferma al Giornale Penny Green, direttrice dell'International State Crime Initiative e docente alla Queen Mary University di Londra.

«La coraggiosa resistenza del personale medico birmano e di altri attori della società civile contro il colpo di Stato e le richieste di boicottaggio delle società possedute e controllate dai militari avranno probabilmente un impatto maggiore delle condanne dell'Occidente», ha aggiunto l'esperta.

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