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Quel papà giapponese e la dignità di cittadino anche nel dolore

Il figlio decapitato dall'Isis. Lui ha ringraziato il governo e si è scusato per i problemi causati

Shoichi Yukawa intervistato a casa sua a Chiba, non lontano da Tokyo
Shoichi Yukawa intervistato a casa sua a Chiba, non lontano da Tokyo

Si chiama Shoichi Yukawa ed è l'anziano papà dell'ostaggio giapponese che l'Isis avrebbe decapitato qualche giorno fa. Intervistato dai giornalisti della Tv nipponica, ha raccontato il suo stato d'animo, le sue speranze e il suo disperato dolore. Ha chiesto che il suo volto non venisse mostrato, non per paura di improbabili ritorsioni, ma per quel pudore candido e dignitoso che accompagna lo strazio di un padre che ha perso il proprio figlio in una maniera tanto orribile. Ha spiegato di nutrire ancora la speranza che suo figlio sia vivo e che le immagini del suo corpo decapitato siano false. «Semmai potrò riunirmi a lui, vorrei solo abbracciarlo», ha detto papà Yukawa.

Il corpo decapitato è stato fatto mostrare in foto dall'altro ostaggio giapponese ancora nelle mani dei jihadisti, il giornalista Kenji Goto, all'interno di un macabro rituale di crudeltà e di morte a cui l'Isis ci ha abituato. Perché alla follia di questi tagliagole non basta uccidere in modo feroce, serve qualcosa di più: serve dissacrare la morte stessa, umiliarla, coprirla di un velo di orrore.

Papà Yukawa ha ricevuto la notizia direttamente dal ministro degli Esteri giapponese in una telefonata: «La mia mente si è improvvisamente annebbiata» ha dichiarato.

Il governo giapponese si era rifiutato di pagare il riscatto chiesto dall'Isis: duecento milioni di dollari (pari alla cifra che il Giappone ha stanziato in aiuti militari contro i jihadisti). Nelle parole di papà Yukawa non c'è alcun rimprovero, alcuna rabbia, alcuna recriminazione per la decisione; al contrario una dignità che lascia senza parole e che spinge a vedere un eroismo nel dolore.

Ad un certo punto, nell'intervista, l'uomo pronuncia ciò che la nostra abitudine alla mediocre giustificazione di tutto e di tutti, non si aspetta: le scuse alla propria nazione e al proprio governo. «Sono dispiaciuto per i problemi che mio figlio ha causato al paese e ad altre persone; sono grato per l'immenso aiuto che il governo ci ha dato».

L'imperdonabile scelta del figlio di essersi recato in un luogo pericoloso incurante dei rischi che avrebbe corso e che avrebbe fatto correre ad altri, è forse ciò che lascia un senso di colpa inespresso. Eppure le parole di papà Yukawa dovrebbero mostrare a tutti noi che cos'è l'eroismo di un dolore: ciò che sa mettere insieme la dignità di essere padre, alla dignità di essere un cittadino.

Twitter: @GiampaoloRossi

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