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Il paradosso Tunisia: l'economia vola ma è boom di profughi

Inflazione, pil e lavoro meglio che in Italia Da lì proviene la maggior parte degli sbarchi

Il paradosso Tunisia: l'economia vola ma è boom di profughi

Tunisi - I nuovi sbarchi in Italia parlano tunisino. Lo certificano i dati del Viminale, i flussi verso il nostro Paese sono crollati dell'86% rispetto al 2017: dal 1° gennaio a ieri sono sbarcate 22.031 persone contro le 111mila dello stesso periodo dell'anno scorso. Ora però fra le nazionalità dichiarate al momento dello sbarco i tunisini sono nettamente in testa: 4.827 arrivi, con largo vantaggio sugli eritrei, fermi a 3mila. «Nei nuovi sbarchi si rileva un cambio delle nazionalità» certifica anche l'Orim, l'Osservatorio regionale lombardo, che attesta lo sbarco di 4.700 tunisini al 1° ottobre.

Ma perché l'Italia accoglie tutti questi migranti tunisini? Non è facile dare una risposta, se si guarda alla attuale situazione politica ed economica dei due Paesi, dirimpettai sulle opposte sponde del Mediterraneo.

La Tunisia non è un Paese ricco, è vero, vive per lo più di agricoltura, tessile e spera in una ripresa del turismo. Ma fra l'economia italiana e quella tunisina, oggi, non c'è un abisso. La crescita del Pil in Italia, dato Istat dell'altro giorno, si è azzerata, quella della Tunisia secondo il Fondo monetario internazionale toccherà il 2,4% nel 2018 e arriverà al 2,9% l'anno prossimo, quando Dio solo sa cosa farà la nostra economia (a un'espansione crede solo il governo, e neanche tutto). La disoccupazione in Italia è di poco sopra il 10%, mentre in Tunisia scenderà al 14,8%, che significa il 7-8% nelle aree più sviluppate, nel Nord del Paese. L'inflazione tunisina - sempre stime Fmi - scenderà al 5,9% nel 2009, quando gli investimenti esteri dovrebbero aumentare del 2,4%. Molti sono italiani: l'interscambio fra i due Paesi supera i 5 miliardi e le imprese italiane attive in Tunisia sono 800. A fine settembre il ministro dell'Interno Matteo Salvini è volato in Tunisia per incontrare il presidente della Repubblica Beji Caid Essebsi, e l'omologo locale Hichem Fourati. «Voglio capire come possiamo fare per aiutarli a crescere e a dare lavoro e a controllare meglio le loro coste» ha detto. Oggi si lavora a nuovi accordi bilaterali.

Il quadro politico tunisino oggi è abbastanza stabile. Nonostante la minaccia del terrorismo, e nonostante il quadro pericoloso che la circonda - a partire dal caos libico - la Tunisia oggi è una democrazia: a giugno per la prima volta ha votato per i Comuni e l'anno prossimo rieleggerà il presidente. Il partito islamico «moderato» Ennahda è dato in crescita, ma il Paese resta laico e le donne godono di una sostanziale e formale parità, almeno nelle città. Gli unici che oggi patiscono un differente trattamento sono i non-musulmani. Gli ebrei all'inizio del secolo scorso erano fra i 50mila e i 65mila, oggi sono forse 1.500. Anche i cristiani tunisini sono pochi: i circa 30mila che vivono nel Paese possono professare la loro fede solo all'interno delle chiese e degli edifici delle congregazioni religiose. Ma sono per lo più italiani. Quali «persecuzioni», quali conflitti, quali pericoli dunque giustificano una migrazione dalla Tunisia? I transitanti da altri Paesi (come la Libia) sono appena il 10% circa del totale. La domanda dunque resta: cosa giustifica un esodo di tunisini verso l'Italia? «In Tunisia non c'è una dittatura - riflette l'assessore regionale lombardo Riccardo De Corato leggendo i dati dell'Orim - posso capire gli eritrei, o i sudanesi ma a Tunisi non c'è dittatura o repressone o instabilità.

Questo arrivo è molto sospetto».

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