Guerra in Ucraina

"Le parole di Biden moralmente giuste. Ma la deterrenza aggressiva è un rischio"

Il politologo Usa: il discorso contro Putin è condivisibile anche se pericoloso. E quando speriamo nei colpi di Stato veniamo smentiti.

"Le parole di Biden moralmente giuste. Ma la deterrenza aggressiva è un rischio"

Alzare i toni per scongiurare il peggio. La difesa risoluta degli alleati unita alla massima moderazione dell'intervento diretto in campo. È l'arma della «deterrenza aggressiva», usata dagli Stati Uniti in Ucraina, combinando ingenti aiuti militari agli ucraini, pesanti sanzioni economiche contro Mosca e una narrazione «aggressiva» per delegittimare e piegare l'avversario senza mai arrivare a farci la guerra. Un equilibrismo strategico in cui, però, «il rischio di un'ulteriore escalation - dice Michael O'Hanlon, politologo americano del The Brookings Institution, teorico della deterrenza aggressiva- è dietro l'angolo».

Gli Usa lavorano con gli alleati Nato a una de-escalation, ma poi Biden definisce Putin «un macellaio». A che gioco sta giocando?


«Certo con quelle espressioni, per quanto moralmente condivisibili, il rischio di un'ulteriore escalation è dietro l'angolo. L'America però punta solo a frustrare le mire di Putin applicando sanzioni economiche punitive insieme agli alleati Nato. Lo scopo è ottenere una de-escalation del conflitto, evitando di entrare direttamente in guerra contro la Russia. Questo a meno che un territorio appartenente alla Nato non venga attaccato da Mosca».


Secondo lo storico Niall Ferguson, gli Usa punterebbero a prolungare la guerra per innescare un cambio di regime in Russia.


«No, l'America sta solo cercando di aiutare gli ucraini a difendersi e a punire Putin finché attacca, preparandosi a proteggere i territori Nato, se necessario. Questi sono gli elementi chiave della strategia dell'amministrazione Biden, che sa benissimo come il regime change sia un obiettivo raggiungibile solo a lungo termine».


Ma il discorso di Biden a Varsavia può anche essere letto come un segnale diretto a Mosca: è possibile una deposizione dello zar?


«Ne dubito. In generale, quando speriamo in colpi di Stato interni, veniamo storicamente smentiti. Il fatto che non approviamo un leader straniero non significa che la sua stessa gente lo disapprovi e lo rovescerà. Poi, di solito questi leader sono molto bravi a garantirsi consenso e sicurezza interni. Penso a Saddam Hussein in Iraq, Kim Jong-un in Corea del Nord».


Quanto le affermazioni di Biden sono ascrivibili a quella che lei ha teorizzato come «deterrenza aggressiva»?


«Non credo che il presidente Biden abbia letto il mio libro! So che non siamo d'accordo sull'espansione della Nato. Ero e sono contrario alla politica della porte aperte e all'adesione dell'Ucraina, perché un'agenda troppo assertiva alimenta la tensione, rendendo la guerra la conseguenza più probabile. Ma, in questo caso, la Nato non stava certo minacciando la Russia. Quindi Putin deve essere considerato come l'unico responsabile».


«L'era della pace», come lei l'ha definita, è definitivamente superata?


«Non posso prevedere quali saranno i nuovi equilibri globali dopo la guerra in Ucraina.

Sicuramente posso dire che l'era della pace avrà ancora una chance».

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