
Pechino fa la faccia brutta ai ribelli che stanno mettendo a ferro e a fuoco Hong Kong ormai da oltre due mesi. Ieri Yang Guang, portavoce dell'Ufficio per gli affari di Hong Kong e Macao (Hkmao), nel corso di una conferenza stampa (appena la seconda da quando Hong Kong è tornata sotto sovranità cinese nel 1997) ha minacciato il «popolo nero», invitandolo a «non sottovalutare la forza immensa del governo centrale». «Chi gioca col fuoco, perisce nelle fiamme», il lugubre vaticinio.
I rappresentanti del movimento che si oppone alle crescenti ingerenze della Cina sull'ex colonia britannica - a partire dalla legge che dava il via libera alle estradizioni, poi sospesa dalla contestatissima governatice Carrie Lam - non sembrano però voler fare alcun passo indietro. E ieri tre di loro hanno indetto una controconferenza stampa - la loro prima da quando è iniziata la protesta - per ribadirlo. I tre giovani, due uomini e una donna presentatisi davanti ai giornalisti a volto coperto e con il caschetto giallo da cantiere diventato il simbolo delle rivolte, hanno ribadito le richieste di democrazia, libertà e parità di diritti e condannando l'amministrazione locale, sostenuta da Pechino. «Chiediamo al governo di ridare il potere alla gente e ascoltare le richieste dei cittadini di Hong Kong», hanno detto i tre leggendo le loro dichiarazioni in cantonese e in inglese. «Questa piattaforma mira ad agire come contrappeso al monopolio del governo sul discorso politico riguardo la questione delle proteste. L'amministrazione attuale deve essere ritenuta responsabile per la protesta della società, ma ha scelto di prendere le distanze e questo comportamento deve essere condannato». I manifestanti, che negano ogni valenza politica delle loro proteste, sono tornati a chiedere un'inchiesta indipendente sui metodi usati dalla polizia, un'amnistia per i manifestanti arrestati, il diritto di eleggere i propri leader e le dimissioni della governatrice Lam, che però proprio ieri Pechino è tornata a sostenere. Il Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del Partito comunista cinese, ha pubblicato un editoriale dal tono piuttosto eloquente: «Ogni tipo di misfatto va oltre le manifestazioni pacifiche - si legge nel pezzo - nessuna civiltà o società retta dalla legge lo tollererà. Il Comitato centrale del Partito ha piena fiducia nella governatrice Carrie Lam e conferma in pieno il suo lavoro».
E intanto si aggiornano anche i numeri della repressione del lunedì nero, quello dello sciopero che ha bloccato il territorio
autonomo e degli scontri sempre più duri. La polizia ha effettuato 148 arresti, di cui 95 uomini e 53 donne. Si tratta del numero più alto di arresti compiuti in una giornata da quando, a giugno, sono esplose le proteste.